tag:blogger.com,1999:blog-18716757791611041972024-03-19T23:38:11.798+01:00Storiaaquaeductushttp://www.blogger.com/profile/01977847432854549767noreply@blogger.comBlogger60125tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-59122162768464448822013-12-01T12:26:00.000+01:002013-12-01T16:53:37.063+01:00Chiese dell'Alto Lario<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnFZhffi70iWZIMIKDx71iqH_Q6eQUgLYSS1RxPoifIWxQPPz4-cj6D5_qVqW1t9RqcPuZWy_HeelaVST4fBFneRsM5N4IEkqzzfpVva7HFb0TFvgzVlNpr3u42DmS23PQjngNDfxrxztz/s1600/Peglio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnFZhffi70iWZIMIKDx71iqH_Q6eQUgLYSS1RxPoifIWxQPPz4-cj6D5_qVqW1t9RqcPuZWy_HeelaVST4fBFneRsM5N4IEkqzzfpVva7HFb0TFvgzVlNpr3u42DmS23PQjngNDfxrxztz/s320/Peglio.jpg" width="240" /></a></div>
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<strong><span style="font-size: x-small;">Peglio - Chiesa dei Santi Eusebio e Vittore</span></strong> </div>
<strong></strong><br />
<strong>Dal Diario del 22 settembre 2010</strong><br />
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Emigranti del Lario a Palermo <br />
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Il post viene ripubblicato con lo scopo di fungere da presentazione per la prossima diffusione di un raro documento storico locale (proveniente da archivi dell'Alto Lario), inerente il tema dell'<strong>emigrazione cosiddetta al contrario.</strong><br />
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Scorrendo la descrizione delle 31 chiese, scritta da Mariuccia Belloni Zecchinelli nel libro <em>L'Alto Lario I </em>(dedicato ai comuni della costa occidentale) - Casa Editrice Pietro Cairoli, Como 1970 - l'attenzione cade su una particolarità che accomuna tutti i paesi dell'Alto Lario: la forte<strong> emigrazione che c'è stata soprattutto verso Palermo, e in secondo grado di preferenza verso Ancona, di abitanti di questi comuni nei secoli XVI - XVIII. </strong><br />
Nella descrizione molto particolareggiata che la Zecchinelli fa delle 31 chiese, sembra quasi di scorgervi il celato intento di far aumentare l'amore verso le nostre belle chiese, che si sia credenti o meno, e poi sembra voglia ricordarci che ci fu un tempo in cui avvenne l' "<strong>emigrazione al contrario</strong>", cioè da Nord verso Sud<strong>. </strong>Quando scrisse quel libro, fine degli anni '60, esisteva già un certo contrasto tra settentrionali e meridionali, anche se quasi sempre manifestato più in forma goliardica che di reale contrasto (gli sfottò erano più che altro gran motivo per innescare ilarità); ma il fenomeno extracomunitari era ancora ben lungi a venire, e non era nemmeno nell'aria. Ora è scoppiato e c'è in ogni dove il tentativo di affiancare moschee alle nostre belle chiese (<a href="http://sauraplesio.blogspot.com/2010/09/matteo-renzi-piccole-moschee-crescono.html"><strong><span style="color: #6699cc;">cliccare qui per leggere un articolo di Nessie</span></strong></a>). In tale ottica, erano quindi tempi assolutamente non sospetti quelli in cui la nostra Zecchinelli decantava le nostre chiese, poichè il fenomeno immigrazione da paesi extracomunitari - con desiderio da parte loro di impiantare qui le loro moschee - è iniziato solo alla fine degli anni '80.<br />
<br />
Tornando alle nostre chiese, e all'unito tema della "emigrazione al contrario verso Palermo", a titolo di eseplificazione dei concetti su esposti trascrivo integralmente il brano che la Zecchinelli scrisse relativamente alla <strong>Chiesa di San Pietro in Costa</strong>, in comune <strong>Dosso del Liro, </strong>paese dell'Alto Lario posto a 650 m. di altitudine nella zona di <strong>Gravedona. </strong><br />
<strong></strong><br />
<em>Già un tempo parrocchiale di Dosso Liro su di un pittoresco dosso roccioso tra due forre dove si dice si rifugiassero i gravedonesi nei primi secoli dopo il mille in caso di guerra sotterrandovi i loro tesori. E' nominata sin dal 1328; ha bella facciatina affrescata a finto bugnato rosso con l'effige di San Pietro ed il monogramma di San Bernardino, sotto al tetto a capanna. L'abside ha un insolito motivo a galleria con due oculi per dar luce all'interno dei tre arconi acuti a tetto in larice affrescato nel cinquecento. Nella zona absidale il Salvatore entro mandorla fra gli Evangelisti ed i Dottori della Chiesa, i dodici Apostoli (1532), un'Annunciazione. Tra i vari riquadri lungo la navata è saliente quello offerto dalla "<strong>schola" di Liro in Palermo (la confraternita degli emigrati) </strong>a scioglimento di un voto fatto laggiù in periodo di pestilenza (1577). Ancora interessanti i ceppi dipinti su di un affresco, <strong>forse offerto da uno di loro per la liberazione dalla prigionia.</strong></em><br />
<em><strong></strong></em><br />
Le citazioni di chiese adornate con donazioni di suppellettili, paramenti sacri - fatti da emigrati locali a Palermo, in quei circa 300 anni - proseguono con la<br />
<br />
Chiesa di San Donato a <strong>Germasino </strong>(suo vanto sono i magnifici paramenti antichi a ricamo ed un reliquiario in argento di <strong>Santa Rosalia</strong>, donato nel 1734 dagli abitanti <strong>emigrati a Palermo</strong>);<br />
<br />
Chiesa di San Giuliano a <strong>Stazzona </strong>(<em>La chiesa possiede magnifici paramenti antichi e molti oggetti sacri in argento cesellato dei secoli XVII e XVIII, <strong>dono dei parrocchiani emigrati a Palermo</strong></em>);<br />
<br />
Chiesa di San giovanni Battista a <strong>Brenzio, </strong>frazione di <strong>Consiglio di Rumo </strong>(...<em>Ma è più nota per gli affreschi del <strong>Fiammenghino </strong>(1628) nella cappella di San Giovanni <strong>fatta a spese degli emigrati in Palermo, dei quali sono anche reliquiari e paramenti della stessa origine</strong></em>).<br />
<br />
Chiesa di Sant'Eusebio a <strong>Peglio </strong>(... <em>La croce astile e gli altri oggetti sacri tra cui un bel turibolo ed una raffinata navicella in argento - sec. XVIII - <strong>sono dono dei pegliesi emigrati a</strong> <strong>Palermo</strong></em>).<br />
<br />
Chiesa parrocchiale di <strong>Vercana </strong><br />
<em>Nativo di Vercana fu nel secolo XVIII il pittore Antonio Maria Caraccioli, detto il "Caracciolo da Vercana", emigrato a Palermo intorno al 1770, e che lasciò vari affreschi anche nella parrocchiale del suo paese natio. In questa chiesa <strong>gli emigrati a Palermo </strong>offrirono nel 1640 la <strong>cappella del Rosario</strong>, ed in quella della <strong>frazione di Caino </strong>un reliquiario, paramenti (1697) ed una bella statua barocca in <strong>legno dorato di Santa Rosalia. </strong></em><br />
<em><strong></strong></em><br />
Chiesa della Madonna delle Grazie di <strong>Trezzone</strong><br />
<em>(Piccolo comune sui monti di Sorico, ... , nel XIII secolo era un importante Comune, ... <strong>. Anche da qui si verificò dal XVI al XVIII secolo una forte emigrazione verso Palermo</strong></em>).<br />
La chiesa fu eretta in parrocchia nel 1560<em>. Conserva due quadri ad olio del pittore Caracciolo da Vercana, un <strong>reliquiario di Santa Rosalia </strong>ed il completo dei <strong>paramenti funebri recanti scritto "Scola Panormi" che li rivela dono della confraternita dei parrocchiani emigrati a Palermo.</strong></em><br />
<em><strong></strong></em><br />
Chiesa di San Martino di <strong>Montemezzo</strong><br />
<em>... Fra gli altri affreschi, quelli delle cappelle, di cui una del Caracciolo da Vercana<strong>, furono offerti dagli emigrati ad Ancona ed a Palermo, ai quali si devono anche la grande lampada in argento ed i ricchi paramenti. </strong></em></div>
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marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-60746294297236770502013-11-05T13:36:00.003+01:002013-11-05T13:36:52.757+01:00Più fumo che arrosto - origini del detto<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUYjPSjobp1cXX9Cnjw88dyRG0HmcTMOOwGq0Rp8ik_4Vo86lOz0I-hUCLtfKWkq_qTdVbJCKKMY9Jj8raf4Jsn8XY-vWTSnE_bWF-kbpXFZIWrTjeu5iaMsd4RVYMD5E-tXY1c4Ja8YWZ/s1600/Corneliano.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUYjPSjobp1cXX9Cnjw88dyRG0HmcTMOOwGq0Rp8ik_4Vo86lOz0I-hUCLtfKWkq_qTdVbJCKKMY9Jj8raf4Jsn8XY-vWTSnE_bWF-kbpXFZIWrTjeu5iaMsd4RVYMD5E-tXY1c4Ja8YWZ/s320/Corneliano.jpg" width="320" /></a></div>
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<strong><span style="font-size: x-small;">Corneliano Bertario (Parco Adda Nord) - Castello Borromeo XIV sec.</span></strong></div>
<br />
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L'antica prassi che ha dato origine al famoso detto <strong><em>"più fumo che arrosto" </em></strong>è il<strong><em> "launechild".</em></strong></div>
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<br /></div>
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<em>Il launechild è voce longobarda ch'ebbe molta fortuna. Il termine ebbe dapprima un significato di dono vicendevole o in certo qual modo il prezzo o la caparra della cosa donata. Poi assunse il significato sempre più simbolico: un pizzico, un riccio di capelli, un uovo e perfino il fumo d'un cappone cotto. Il che valse a introdurre il detto <strong>"in quella faccenda c'è più fumo che arrosto".</strong></em></div>
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In una <strong><em>Cartula promissionis </em>(compromesso)</strong> redatta in Corneliano (Milano) nel gennaio 1023 (documento citato anche in <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Corneliano_Bertario">questa pagina di Wikipedia</a>) dal notaio Arnaldo, e giudice della Casa imperiale, </div>
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<em>tal Oddone figlio del fu Bertario del luogo di Cornegliano, di legge longobarda, promette a Ugo, suo fratello e pure figlio del predetto Bertario, di non far causa per la metà dei beni posseduti da esso Ugo nei luoghi e fondi di Rovolo (Rogolo) Travanula (Traona) e Melle (Mello) in Valtellina. Come pegno della promessa si pratica il<strong> launechild.</strong></em></div>
<div style="text-align: justify;">
<strong><em></em></strong><br /></div>
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I fratelli erano in lite per una questione di eredità sui suddetti beni di loro padre. Si rappacificarono e, come simbolo della promessa pace, praticano il<strong><em> launechild, con un capello, che Oddone consegna al fratello Ugo come pegno della promessa fatta. </em></strong><br />
<strong><em></em></strong><br />
<strong><span style="font-size: x-small;">Spunto e corsivo da una pagina del libro "La sepolta Olonio e la sua Pieve" - Raccolta Documentaria Preistoria e Storia - di Martino Fattarelli.</span><em> </em></strong></div>
<strong><em></em></strong><br />
<strong><em></em></strong><br />
<strong><em></em></strong><br />marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-73773261329193974642013-05-14T15:06:00.000+02:002013-05-14T15:06:36.026+02:00Castel de Piro al Grumello (So)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwV1GNPCAVsyBuHdDqw0ukynBtqGJNdSH15JnmqZWuShRx76vfWd9TyLkz3tNQzVcGwTKRqPNVdGBCJcLPdTb2cPwGdcSg-L5g8LptwOmjmhWmR80lZRmwfVAfNu35o6HAkt95Ef6UKBDU/s1600/castel+de+piro.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="124" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwV1GNPCAVsyBuHdDqw0ukynBtqGJNdSH15JnmqZWuShRx76vfWd9TyLkz3tNQzVcGwTKRqPNVdGBCJcLPdTb2cPwGdcSg-L5g8LptwOmjmhWmR80lZRmwfVAfNu35o6HAkt95Ef6UKBDU/s320/castel+de+piro.jpg" width="320" /></a></div>
<h2 class="testoARTE">
Castel De Piro al Grumello</h2>
<div class="imgDx">
<!-- IMMAGINE 1 --><img alt="Castel De Piro al Grumello - Foto 1" src="http://www.valtellina.it/Image?id=QEJ%40%08%5D" width="200" /><!-- IMMAGINE 2 --><img alt="Castel De Piro al Grumello - Foto 2" src="http://www.valtellina.it/Image?id=R%40LB%08%5D" width="200" /><!-- IMMAGINE 3 --></div>
<div class="clear">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In attesa di approfondirmi sulla storia di questo castello, ne copio-incollo un breve sunto dal sito <a href="http://www.valtellina.it/info/122/castel_de_piro_al_grumello_montagna_valtellina.html">Valtellina.it</a>. Non avendone ancora certezza, è però assai probabile che la sua storia sia intrecciata con quella del Medeghino, la cui fortezza si trovava a Musso, in provincia di Como, poco distante da Colico. La fortezza del Medeghino fu anch'essa abbattuta in quel periodo per assecondare la volontà dei Grigioni svizzeri (vedere <a href="http://storiaaquaeductus.blogspot.it/2013/02/musso-e-il-medeghino.html">Musso e il Medeghino</a>).</div>
<br />
<div class="boxTesto" style="text-align: justify;">
<img alt="" src="http://www.valtellina.it/images/frecciaARTE.gif" /> <span class="testoARTE bold"><em>Il castello sorge in posizione strategica, nel Comune di Montagna in Valtellina, su un promontorio dal quale si domina la città di Sondrio e un gran tratto della valle</em></span></div>
<div class="boxTesto" style="text-align: justify;">
<em>Conosciuto come Castel Grumello per via del dosso roccioso sul quale è costruito, fu edificato tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento dalla famiglia comense dei De Piro, di parte ghibellina e quindi avversa ai guelfi signori di Sondrio, i Capitanei. </em></div>
<div class="boxTesto" style="text-align: justify;">
<em>Il castello sorge in posizione strategica, nel Comune di Montagna in Valtellina, su un promontorio dal quale si domina la città di Sondrio e un gran tratto della valle. E’ a una struttura gemina, vale a dire un fortilizio circondato da mura e composto da due costruzioni che ancora conservano i merli ghibellini a coda di rondine: quella ad occidente, come suggeriscono l’ingresso arcuato, le ampie aperture e i ruderi di una sala con camino, doveva avere carattere prevalentemente residenziale, pur essendo comunque dotata di una torre con feritoie per il corpo di guardia. Quella ad oriente, costruita con massi ben squadrati, aveva funzione militare e comprendeva un’alta torre quadrata di avvistamento e numerosi ambienti distribuiti su più livelli. </em></div>
<div class="boxTesto" style="text-align: justify;">
<em>Come la maggior parte delle altre strutture fortificate della valle, castel Grumello fu demolito nel 1526 dai Grigioni, ma doveva essere uno dei castelli più grandi della provincia e comunque, stando agli scavi archeologici in corso, più ampio di quanto si sia creduto finora.</em></div>
marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-91456953532814958422013-03-29T10:19:00.001+01:002013-03-29T10:19:51.877+01:00Milano in età Romana: IL PORTO<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8b5csEwd6KV0RTV22ZF_niFUk5AM3O1BOe_yRH4E8ngJ81_DSwzbq3jSqrwim5amT5GwxA-GJzPKJrnKuB4lHCV1E4yw_kmSfhoHb8NKXp0nhlwvqOb3Q2KrcJ5B21I6oS_wnfk8qej0w/s1600-h/20050203_124155%2520Resti%2520palazzo%2520via%2520Brisa.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5181290247847654226" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8b5csEwd6KV0RTV22ZF_niFUk5AM3O1BOe_yRH4E8ngJ81_DSwzbq3jSqrwim5amT5GwxA-GJzPKJrnKuB4lHCV1E4yw_kmSfhoHb8NKXp0nhlwvqOb3Q2KrcJ5B21I6oS_wnfk8qej0w/s320/20050203_124155%2520Resti%2520palazzo%2520via%2520Brisa.jpg" style="display: block; margin: 0px auto 10px; text-align: center;" /></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVD2L-ob2-PaABjI6Ds7suwTRNHJ0428VIki-OZ5ilty8ObYy3o4f3CVPrZDEcyBRkHh_lfr2_dgbEOs7c_S7D21RdvRE_QBrQS4vCIQo3ttnRmzuBtvdibmXfb1zI97nVG8Wrlb9MMvAE/s1600-h/177016624.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5181231990911251266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVD2L-ob2-PaABjI6Ds7suwTRNHJ0428VIki-OZ5ilty8ObYy3o4f3CVPrZDEcyBRkHh_lfr2_dgbEOs7c_S7D21RdvRE_QBrQS4vCIQo3ttnRmzuBtvdibmXfb1zI97nVG8Wrlb9MMvAE/s320/177016624.jpg" style="display: block; margin: 0px auto 10px; text-align: center;" /></a> </div>
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<strong></strong> </div>
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<strong>Dal Diario del 24 marzo 2008</strong></div>
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In età pre Romana, e fino ad un certo momento dell'epoca Romana, a sud-est di piazza Duomo, a Milano, esisteva un laghetto naturale formatosi da un allargamento del fiume Seveso. Esso era localizzato in un'area compresa tra le vie Francesco Sforza, via Pantano, via Larga e via Laghetto: in pratica nel riquadro dove è situata l' <strong>Università degli Studi di Milano </strong>(la foto qui sopra, che dovrebbe rappresentare l'interno di un cortile universitario, è stata ripresa dalla lettera di presentazione dell'ateneo con annessa storia dello stesso. Il documento, in rete fino a qualche giorno fa, non è più reperibile)<strong>. </strong>Via Pantano e via Laghetto, nomi di due strade che si trovano sulle sponde opposte di quell'antico laghetto, ci ricordano quel sito storico.<strong> </strong>E' assai probabile che, a quell'epoca, nei momenti di piena, le zone circostanti il fiume e il laghetto venissero sommerse. Fu durante un'alluvione di eccezionale portata, quella del 53 d.C., di cui si hanno notizie storiche certe, e ricordata anche in <a href="http://www.storiadimilano.it/">http://www.storiadimilano.it/</a> , che Milano andò "sott'acqua" subendo danni inimmaginabili. Dopo quell'evento si decise di dar mano a imponenti opere di assetto idrogeologico della città<strong>. E fu così che si pensò, forse, e in quella occasione, alla realizzazione di quel capiente canale navigabile e di quel ponderoso porto, che, si presume fu il catalizzatore del grande sviluppo registrato dalla città di Milano nei quasi quattro secoli successivi. </strong></div>
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E' <span style="font-size: 85%;">da ricordare che parallelamente a Milano, si andava sviluppando la città di <strong>Treviri, </strong>città strategica per Roma. Essa era ricca di edifici pubblici e monumenti<strong>,</strong> molti dei quali si trovano tuttora in un ottimo stato di conservazione. La <strong>Treviri </strong> attuale può così fornirci un'idea, seppur riduttiva, di come possa essere stata Milano in quell'epoca. </span><strong> </strong></div>
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<br /></div>
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Al culmine dei lavori di abbellimento della città, nel 93, sotto l'imperatore Traiano fu dato inizio alla costruzione dell'anfiteatro che per dimensioni risulta essere stato il terzo, sui circa 220 presenti su tutto il territorio dell'Impero Romano. E se, dalle dimensioni dell'Arena si poteva presumere il grado di importanza della città, possiamo desumere che Roma avesse un occhio particolare per Milano già dai primi anni dell'impero (forse ne intravedeva già l'importante posizione strategica, rivelatasi in pieno tre secoli dopo). Dalla seconda metà del I secolo Milano conobbe l'inizio di un periodo di grande sviluppo urbano, tanto da essere scelta come dimora degli Imperatori Romani dal <strong>282 fino al 402</strong>. La presenza di imperatori a Milano presupponeva vi fossero imponenti edifici pubblici, secondo i costumi dell'epoca, consoni ad una capitale imperiale. Alla fine del I secolo fu iniziata la costruzione dell'anfiteatro che, per dimensioni, risulta essere stato il terzo su un totale di circa 220 anfiteatri censiti in tutto l'Impero Romano, di cui si hanno notizie certe. Il suo completamento richiese oltre un secolo di lavori, ma è andato tutto perduto. Sembrerebbe che le dimensioni degli anfiteatri venissero stabilite in base all'importanza assegnata alla località. L'Anfiteatro milanese veniva dopo quello di Roma (<strong>Anfiteatro Flavio o Colosseo</strong>) e quello di<strong> Capua</strong>. A Milano faceva seguito quello di <strong>Verona</strong> (diametri esterni, metri 152 x 123, contro i 155 x 125 per quello di Milano), di poco inferiore per dimensioni a quello di Milano. L'Anfiteatro di Verona, conosciuto da tutto il mondo come <strong><span style="color: #006600;">Arena di Verona, </span></strong>può così darci un'idea visiva di come sarebbe stato l' <strong>Anfiteatro di Milano</strong> (detto anche <strong>Arena</strong>).</div>
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<br /></div>
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<strong>Massimiano, </strong>(imperatore dall'1/3/286 al 305) che aveva fissato la sede imperiale a Milano (foto in alto: resti del Palazzo Imperiale. Fotografia di Stefano Gusmeroli), dotò la città del <strong>Circo, </strong>costruendolo di fianco alla propria dimora, affinchè lo potesse raggiungere senza dover "passare per strada".<strong> </strong>Il <strong>Circo di Milano </strong>era il più grande (metri 470x 85) dell'epoca della tetrarchia. Di esso sono rimasti soltanto i ruderi ed una delle due torri monumentali, inglobata in un monastero nell'VIII secolo a costituire la torre campanaria, che facevano parte della struttura circense. I circhi erano strutture con costi altissimi per il mantenimento dei cavalli; tanto che potevano essere mercè soltanto di imperatori. E infatti, in tutto l'Impero Romano, i circhi più importanti, quelli dalle dimensioni grandiose, si trovavano a <strong>Roma (il Circo Massimo), </strong>a <strong>Costantinopoli </strong>e a <strong>Milano, </strong>che erano, appunto,<strong> sedi imperiali. </strong></div>
<strong></strong> <br />
<div>
(segue)</div>
marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-87547159685324019372013-02-19T10:12:00.000+01:002013-02-19T10:12:14.763+01:00Il Don Rodrigo Francesco Seccoborella<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilsVfDxgH5FjGvCFSa1q8b051AgbrksNN2qy8hcnr5Hp-OPYSZdovK9WpZGkEsbhLYttxjqh1mKgGF8WQKoCJ7JW0T9I11xr1A3awm-YvvSkuMgRIpmZRMRqWPXh1G6r40QLxIo4CFx34k/s1600/renzo.gif" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilsVfDxgH5FjGvCFSa1q8b051AgbrksNN2qy8hcnr5Hp-OPYSZdovK9WpZGkEsbhLYttxjqh1mKgGF8WQKoCJ7JW0T9I11xr1A3awm-YvvSkuMgRIpmZRMRqWPXh1G6r40QLxIo4CFx34k/s320/renzo.gif" width="244" /></a></div>
<br />
<em>"...Taluni però di quei fatti, certi costumi descritti dal nostro autore, c'eran sembrati così nuovi, così strani, per non dir peggio, che, prima di prestargli fede, abbiam voluto interrogare altri testimoni; e ci siam messi a frugar nelle memorie di quel tempo, per chiarirci se veramente il mondo camminasse allora in quel modo..." </em>(I Promessi Sposi - introduzione)</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
La strada che da Ornago va a Bellusco, al tempo dei "Promessi Sposi" era immersa in un fitto bosco che rendeva difficilmente individuabile una costruzione che vi fosse immersa. <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Ornago">Ornago</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bellusco">Bellusco</a> sono due comuni del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Vimercatese">Vimercatese</a>, ad est dell'omonima città. Ornago oggi conta circa 5000 abitanti, ma a quell'epoca contava forse appena qualche centinaio d'abitanti. Questi, stando agli indizi forniti dalla lettura del verbale di cui sotto, pare vivessero in condizioni assai disagiate, soggetti a prevaricazioni, angherie e soprusi di ogni genere da parte del signore locale, Francesco Seccoborella. Costui apparteneva all'omonimo casato dei Seccoborella di Vimercate, del quale s'è trattato nel <a href="http://esperidi.blogspot.com/2011/10/dinastie-millenarie.html">post precedente</a>. Francesco Seccoborella, la pecora nera della dinastia millenaria, era stato artefice e mandante in un fattaccio di cronaca, che avrebbe potuto ispirare la figura del don Rodrigo manzoniano: rapimento, segregazione, violenza carnale prolungata e continuata per anni verso una giovane donna coniugata; violenza e minacce di morte al marito della vittima, tanto da costringerlo a fuggire lontano da casa per non rischiare di venire assassinato. Nonostante le continue denunce e suppliche da parte della madre, le autorità non riuscirono o non vollero porre fine alle angherie e ai tormenti della famiglia del giovane ornaghese<em>. </em>Insomma, il Seccoborella spavaldamente non si curava della legge. Uccise poi anche suo padre, per impossessarsi anzi tempo dei beni di famiglia, al che la giustizia si mosse in forza, riuscendo a stanarlo e catturarlo.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il documento, contenente la denuncia della madre della vittima, è conservato nell'Archivio plebano di Vimercate, e riportato integralmente nella ponderosa <strong><em>Storia di Vimercate, </em></strong>alle pagine 563 e seguenti. Esso è rivelatore del clima in cui vivevano alcuni signorotti - non solo il Seccoborella - sulla fine del Cinquecento e nei primi decenni del secolo successivo, che si beffavano impunemente della legge. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
Il libro, pubblicato nel 1975 dall'Editrice Luigi Penati e Figli di Vimercate, è dello storico Eugenio Cazzani. Come si può dedurre dall'introduzione dei Promessi Sposi, la vicenda fa parte di quelle che avrebbero potuto ispirare la figura di don Rodrigo. Infatti, si ricorda che fin dai tempi dell' <a href="http://esperidi.blogspot.com/2010/01/laccademia-dei-pugni.html">Accademia dei Pugni</a> i fratelli Verri erano stati amici di Cesare Beccaria, nonno materno di Alessandro Manzoni, i quali avevano vaste proprietà terriere ad Ornago. E' poi nota la passione giovanile di Giulia Beccaria per Giovanni Verri, il più giovane dei quattro fratelli, e quindi il Manzoni potrebbe aver appreso quella storia già da bambino, durante una visita con la madre nel vimercatese.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
Riprendendo il filo della storia, in seguito a quel fattaccio del Seccoborella, e ad altri consimili avvenuti in quei decenni nella Lombardia Spagnola (uno di questi è raccontato da Antonio Balbiani nel suo <a href="http://esperidi.blogspot.com/2011/07/lasco-e-il-suo-territorio.html">Lasco il bandito della Valsassina</a>), costrinsero il governatore di Milano, <a href="http://esperidi.blogspot.com/2010/10/forte-fuentes.html">Conte di Fuentes (qui)</a> <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/2011/05/forte-fuentes.html">(e qui)</a> ad emanare la famosa grida manzoniana <em>"Pienamente informato della miseria in che vive questa Città e Stato per cagione del gran numero di bravi che in esso abbonda...e risoluto di totalmente estirpare seme tanto pernicioso...</em>successivamente emanò una nuova grida, nella quale aggiungeva <em>...con fermo proponimento che, con ogni rigore, e senza speranza di remissione, siano onninamente eseguite." </em></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwaMG9oFkHTk834F4slh1Bslu8CXhg88mDYcAjhGJw5co-OC88cxrVWTDW_N6tV6u5OUBbSZvroKMtF6R0RDlFVnIlHw1-YuLuMZRXCBivARtRJHR8pEdj-yDMi67pFwymwxnNtuNuu5wj/s1600/cascina+borella+osnago.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwaMG9oFkHTk834F4slh1Bslu8CXhg88mDYcAjhGJw5co-OC88cxrVWTDW_N6tV6u5OUBbSZvroKMtF6R0RDlFVnIlHw1-YuLuMZRXCBivARtRJHR8pEdj-yDMi67pFwymwxnNtuNuu5wj/s320/cascina+borella+osnago.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Ornago - Il palazzotto di Francesco Seccoborella trasformato in cascina agricola (foto di </span><a href="http://www.panoramio.com/user/1298862?with_photo_id=9484169"><span style="font-size: x-small;">Gabriele Solcia - da Panoramio</span></a><span style="font-size: x-small;">)</span></div>
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<em>Nel 1595 “havanti il Signor Giudice Suarez compare Angela di Solari, figlia quondam Agostino, habitante in Vimercato, et con grave querela espone in questo modo; e che havendo essa esponente un solo figliolo per nome Rugier Berna, giovane de circa 18 anni, esso figliolo si maritò che sono forse tre anni, in Caterina Spresegia, giovina di buon aspetto, allevata de buoni costumi nel monastero de Orsoline, (S. Gerolamo) in Vimercato; et vivendo quietamente nella casa loro in detto loco de Vimercato, dove è feudatario il Conte Ludovico (Francesco) Secco, giovane molto dissoluto et fatto formidabile et insoportabile per le sue male qualità non solo a suoi sudditi ma abboritto ancora da ogniuno che la (lo ha) praticato.</em></div>
<div style="text-align: justify;">
<em>Ecco che detto Conte Ludovico (Francesco) preso damore (!) della detta Caterina cercò ogni via per ridurla a compiacerlo; ma essendo lei sempre stata reticente, esso Conte ridotta alla sua devotione la matrigna d’essa Caterina et una sua sorella detta la Barbos, in casa di quali habitava essa Caterina, et corrote con danari et presenti introdussero detto Conte dalla detta Caterina et così per forza et con minaci, metendogli il pugnial alla golla et con agiuto da essa sua matregnia, compiti i suoi sfrenati dessiderij et al fine accortesene detto Rugiero suo marito, ecco che detto Conte una notte con comitiva de gente andò alla casa di detta Caterina et per forza la condusse a casa sua in Vimercato, dove la (l’ha) tenuta più di un anno senza alcuno timore de la giustizia divina né humana, non ostante che più volte per gli ministri di santa Chiesa gli sia stato comandato sotto gran penna che la mandasse via, il che però mai ha voluto hobedire facendo professione de non hobedire ad alcuno superiore; et il giorno di Natal passato essa Caterina glia (gli ha) partorito uno figliolo come è nottorio.</em></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTQT-YCQwvOoeceIGVcN6pwAV0_bI66YG1g4Nex7OfiAOhhxD8zXhyphenhyphenkHSvjxG70Zbqa-2dQOGWvBDxCSoPd81d5612Ia24J7DV9Z1k5zzyV8rTNR48IJa06fwC7fqA6AJ6eDBK6GIbJ0yQ/s1600/I_promessi_sposi_-_don_Rodrigo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTQT-YCQwvOoeceIGVcN6pwAV0_bI66YG1g4Nex7OfiAOhhxD8zXhyphenhyphenkHSvjxG70Zbqa-2dQOGWvBDxCSoPd81d5612Ia24J7DV9Z1k5zzyV8rTNR48IJa06fwC7fqA6AJ6eDBK6GIbJ0yQ/s1600/I_promessi_sposi_-_don_Rodrigo.jpg" /></a></div>
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<em>Dappoi che detto Conte hebbe in casa sua detta Caterina sua suddita et tratenedola al dispetto del marito, qual non osava parlare né lamentarsi di tal opressione, occorse che l’anno passato in tempo del carnovale facendosi una festa in casa de Vitorio Galarato speciaro in Vimercato, detto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Rugiero hauto notizia che detto Conte voleva condure a detta festa mascherata detta Caterina sua moglie, andò alla detta festa et pigliata in ballo una maschera chredendo fosse sua moglie, detto Conte subito sfodrò il pugnale, tirò molti colpi ad detto Rugiero et lo feritte malamente sopra la testa; ma in questo non fu fatto altro processo perchè il pover homo non osava comparere, anci bisogna andasse nascosto hor qua hor là perché detto Conte lo perseguitava per farlo amazzare, del che ne havea grande paura, si per essere esso Conte molto diabolico e bestiale come che era fomentato de alcuni malviventi e banditi paurosi che teneva in casa continuamente in detto loco de Vimercato suo feudo; fra questi David Legniano da Gropello bandito per homicidio d’animo deliberato proditoriamente comesso, delli quali esso Rugiero non ne poteva pretendere ignoranza perché sino l’anno 1593 che detto Rugiero praticava familiarmente in casa di detto Conte, vedeva, trattava et praticava con essi banditi non sapendo che fosero come hanno fatto molti altri de Vicomercato, dei quali esso Conte si serviva per dare et oltraggiare hor ferite hor bastonate a questo et quello in Vimercato, conducendoli ancora seco di notte palesemente con harchibusi da roda ancora sopra le feste con un puocco scandello de popolo ridotto a termine (che) se ben ricevevano offese et oltraggi non osavano favellare.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></em></div>
<div style="text-align: justify;">
<em>Hora il povero giovane ridotto in estremità, desfatta la casa né sapendo come salvar la vitta sua, fu forzato partirsi et andar alla guerra metendosi nella compagnia de cavalli del Segnor Hercule Gonzaga, dove è servito molti mesi in Piamonte et Savoia, et avendo scoperto che detto Conte avea datto mandato di amazarlo atalcun soldato, si aguardò per molto tempo, ma redotosi a una grave infermità et in stato tale che non era per combattere né per resistere se gli fuse hocorso qualche disgratia, deliberò partirsi, né puotendo haver licenza, redotto quasi ad estremo, senza licentia se ritirò dal servitio et al presente è ancora infermo fuori de Stato (di Milano) et se gli sarà concesso che possa comparere sicuramente, metterà in luce tutte le predette cose.</em></div>
<div style="text-align: justify;">
<em>Per ciò ritrovandosi prigione detto Conte, hora al Capitano de giustizia per suoi misfatti esponente in absenza et in nome del detto suo figliolo ha esposto tutte le predette cose aciò che detto Conte habbia il debito castigho, facendo mettere in sicuro detta Caterina perché detto Conte e suoi agenti non la facino disperdere esendo lei informata delli mandati datti per il Conte d’amazar detto Rugier et delli banditi rettenuti in casa sua et altri de portatione darchebusi da roda in fatti desso Conte, prevedendo ancora alla sicurezza del esponente et suo figliolo, acetando che sempre detto Conte è talmente furibondo che presupone che nisuno gli habbi a comandare come più e più volte pubblicamente à detto ne mile occasioni che alli pari suoi né officiali né il senato né mancho il Principe ma sollo il Re, et in segnio di verità veghasi ne le mani del nottario Merone che ghe un processo contra detto Conte ancora pendente, così comandò de tre milla scudi che non vada a Vimercato per ordine del Senato né mai ha voluto obedire; et nelle mani di Gio Francesco Giusano notaro pende un altro processo con una sicurtà de mille scudi che fosse obbligato andare a Roma per ordine del Senato et niente di mane (!) che sprezando ogni cosa non ha voluto obedire, anci tornato a casa sua usò termini molti inconvenienti alla Contessa sua Madre come questa per processo pendente in mano al notario Verano; et di più puoco fa per ordine del Senatto sequestrato in casa in Milano sotto penna (di) due milla scudi né mai ha voluto hobedire, anzi è andato dove ghe parso et per segnio poco in Milano, ferito sopra la testa de animo deliberato un procurator de Vimercato come è notorio, lasando che più e più volte à tentato tossicar la madre et il fratello minore per restare sollo, come tutta la terra de Vicomercato et molti principali in Milano ne sono informati.<br />
</em><em>(Per) le predette cose si potriano esaminare Giuliano Sovatino et suo figliolo maggior, che altre volte praticavano in casa del detto Conte, Margarita da Galbiate fantesca già del detto Conte che ora è in cassa della Contessa sua Madre, Gio Ambrosio Canturino che di presente è in cassa di detta Contessa, Girolamo servitor del detto Conte, il Fascinetto servitor di detto Conte, Cesare ucelatore desso Conte, il Moretto già servo del detto Conte hora servo a Nicola Antone Oratio Aizurij detto Gambasino suo prestinaio in Vimercato, ma per haver la verità da sudetti bissognia de in proviso farli retenere et usarli delligentia altriamente non si troverà conto alcuno per la paura chano del Conte suddetto":</em></div>
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Immagini:</div>
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- Renzo e Lucia al Lazzaretto - dal sito <a href="http://www.bassilo.it/area_alunni/peste/sposi.htm">Bassilo.it</a><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><br />
- Don Rodrigo - dal sito <a href="http://www.wikideep.it/renzo-e-lucia/">Wikideep.it</a></div>
<div style="text-align: justify;">
Link correlati: <a href="http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-05328/">Lombardia beni culturali</a> - <a href="http://www.parcoriovallone.it/index.php?Mod=Pagina&Pagina=10">Parco del Rio Vallone</a><br />
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<strong>Dal Diario 18 novembre 2011</strong></div>
marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-32327434171943468322013-02-13T15:46:00.000+01:002013-10-04T10:17:35.951+02:00Forte Fuentes - Colico<div style="text-align: justify;">
Questo post è anticipatore per quanto scriverò a proposito del <strong>Castelvedro </strong>di <strong>Dervio. </strong>Le foto sotto sono state scattate da Angela Acerboni nel mese di settembre 2010, ed oggi potrebbero risultare un poco superate, perchè il sito, dopo la pubblicazione di vari post su vari blog, ma soprattuto dopo il servizio che gli ha dedicato <strong>Striscia la Notizia </strong>nel maggio 2011<strong>,</strong> è stato reso più fruibile. Ci si augura che lo stesso possa accadere per il Sasso di Musso e per il <strong>Castelvedro di Dervio, </strong>che quanto ad età è molto più datato dei due.</div>
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<span style="font-size: large;"><strong>Forte Fuentes</strong> </span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUifjmUfgWkb-5GQsvp9oBwfrhCwntklZABMW91tW4NxPVFPLGmgZlxaMyY4HlHUKdh7qkmfB1d1plHtnSbWKweJlxRWb9sL22geFXSB4jYNRbUnHKur5LsTHJ-0n13ksndwb4FMoMA6fo/s1600/retro+del+palazzo+del+governatore.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5528676306850969458" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUifjmUfgWkb-5GQsvp9oBwfrhCwntklZABMW91tW4NxPVFPLGmgZlxaMyY4HlHUKdh7qkmfB1d1plHtnSbWKweJlxRWb9sL22geFXSB4jYNRbUnHKur5LsTHJ-0n13ksndwb4FMoMA6fo/s320/retro+del+palazzo+del+governatore.jpg" style="display: block; height: 240px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" /></a> R<span style="font-size: x-small;">etro del palazzo del governatore</span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigeflCci_HtTbmWL-CZtRcHpf2VOsScdJcF3upolyh34koC3kMhENH8VUfGnSDhusWNAA1syxOTNrCD4qS9gCBgf1A-ygWE_2zgYCzebHHys74elp1yBYbfmkM6hfR1t8t2QeyMaT5gEtc/s1600/locali+presso+l%27ingresso.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5528675661821108258" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigeflCci_HtTbmWL-CZtRcHpf2VOsScdJcF3upolyh34koC3kMhENH8VUfGnSDhusWNAA1syxOTNrCD4qS9gCBgf1A-ygWE_2zgYCzebHHys74elp1yBYbfmkM6hfR1t8t2QeyMaT5gEtc/s320/locali+presso+l%27ingresso.jpg" style="display: block; height: 240px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" /></a> L<span style="font-size: x-small;">ocali presso l'ingresso</span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsymBdELrxr2usjQCtIaB6jbGHzNYGIeQXnZWhK-OF3-t3R27gavJKxClCb4_nzCqjC2KLxm0Xt8JdEPO8zo1g59-NWi-J9sYA3aS6xct7liPln5IAiJr4oUC5sAAqg0DSDj-Q9xoc8dWj/s1600/palazzo+del+governatore.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5528675066481905282" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsymBdELrxr2usjQCtIaB6jbGHzNYGIeQXnZWhK-OF3-t3R27gavJKxClCb4_nzCqjC2KLxm0Xt8JdEPO8zo1g59-NWi-J9sYA3aS6xct7liPln5IAiJr4oUC5sAAqg0DSDj-Q9xoc8dWj/s320/palazzo+del+governatore.jpg" style="display: block; height: 240px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" /></a> P<span style="font-size: x-small;">alazzo del Governatore</span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzpqmCKqFFC3ZMThcxCEZsOdx39eUe6NbV0i4hurEjmZjW0gsE90XrXYc3CSqOLk-OCIBU9erXZy3qAFk6sYkJ6cEZgJHXpIvxYbijY2pL1lClzZtBR_cvUOjfqL9gTZ2TvY6RbHkvRS1O/s1600/interno+chiesa+di+santa+barbara.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5528674372768404706" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzpqmCKqFFC3ZMThcxCEZsOdx39eUe6NbV0i4hurEjmZjW0gsE90XrXYc3CSqOLk-OCIBU9erXZy3qAFk6sYkJ6cEZgJHXpIvxYbijY2pL1lClzZtBR_cvUOjfqL9gTZ2TvY6RbHkvRS1O/s320/interno+chiesa+di+santa+barbara.jpg" style="display: block; height: 240px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" /></a> I<span style="font-size: x-small;">nterno chiesa di Santa Barbara</span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbQ6kNW5F1_EY1WDzwqj0MoDPq3cWPJ_Fo__LmPxEqtYu3VpAQVcRNRL4QYtVAEWrGgWKbP8x_3A7CLydtMSPTGtFtdI-5I9iKMJdwfwN8P6mrnr9a-HiFdS9jD7hP9-_uxz-aNrqFD26n/s1600/chie+s.barbara.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5528673797717366818" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbQ6kNW5F1_EY1WDzwqj0MoDPq3cWPJ_Fo__LmPxEqtYu3VpAQVcRNRL4QYtVAEWrGgWKbP8x_3A7CLydtMSPTGtFtdI-5I9iKMJdwfwN8P6mrnr9a-HiFdS9jD7hP9-_uxz-aNrqFD26n/s320/chie+s.barbara.jpg" style="display: block; height: 240px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" /></a> C<span style="font-size: x-small;">hiesa di Santa Barbara</span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7n5UgnNyoUebakp1ApRMiFtJ7FViT2Wez6ZK9yZGvbn5iTX0VcasEO-sgkNW3q9xCCFDoqaY3hHe8rfl_hqN7yenFqNZPXW12w8TpNQV9qtAZn4GyvexTZ6JjJvexfgurG7-X9phg7-Ci/s1600/alloggiamenti+dei+soldati.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5528673314285165170" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7n5UgnNyoUebakp1ApRMiFtJ7FViT2Wez6ZK9yZGvbn5iTX0VcasEO-sgkNW3q9xCCFDoqaY3hHe8rfl_hqN7yenFqNZPXW12w8TpNQV9qtAZn4GyvexTZ6JjJvexfgurG7-X9phg7-Ci/s320/alloggiamenti+dei+soldati.jpg" style="display: block; height: 240px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" /></a> <span style="font-size: x-small;">Alloggiamento dei soldati</span></div>
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Partito in segretezza da Milano sul finire del mese di ottobre 1604, fece tappa a Como per ispezionare le truppe ivi stanziate,<em> il 3 novembre era a Gravedona, da dove, in barca e con sole tre persone al seguito, pervenne al Forte la sera: </em><strong>Forte Fuentes</strong>.<br />
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Non dev'essere stato facile per un settantacinquenne affrontare quello che per quei tempi sarebbe stato un lungo e faticoso viaggio, fatto a dorso di cavallo d'ordinanza e barca. Ma non era andato a Colico per godersi uno fra i tanti più bei panorami del mondo - quello che si gode dal suo lungolago - bensì per controllare coi propri occhi il risultato della sua cocciutaggine. Cozzando contro il volere dei confinanti Grigioni Svizzeri, che non vedevano di buon occhio la creazione di una fortezza al confine col loro stato, aveva voluto tenacemente la creazione di quel gioiello dell'architettura militare.</div>
<div align="justify">
Fin dai primi tempi della dominazione spagnola Milano era stata messa in sicurezza, chiudendola entro possenti mura, che sono tuttora motivo d'orgoglio per milanesi e spagnoli nostalgici. A tal proposito sarà bene ricordare che le Mura Spagnole di Milano (delle quali però non è rimasto praticamente più nulla) sono state la più grande opera civile realizzata in Europa nel XVI secolo. Resa inespugnabile la città, bisognava ora coprirle le spalle da eventuali invasioni massicce e su larga scala. Il punto cruciale, il più facile dal quale sarebbero potute agevolmente passare orde invadenti, sarebbe stata la punta all'estremo nord del lago di Como, là dove convergono tre valli distinte, dai cui passi alpini potevano infiltrarsi gli eserciti o le bande provenienti dal centro-nord Europa. Il punto più debole dell'anello era appunto Colico, o meglio quel tratto di terra che in ricordo degli spagnoli del Fuentes ha preso il nome di <strong>Pian di Spagna</strong>. Zona strategica, e nello stesso tempo malarica a quei tempi. Un agguerrito avamposto militare dislocato in tale zona avrebbe potuto controllare e sbarrare il passo a forze nemiche provenienti da nord attraverso i tre più facili punti d'accesso della Val Chiavenna, Valtellina e Passo San Jorio.<br />
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Il Conte Fuentes, divenuto governatore di Milano in tarda età, al termine di una gloriosa carriera militare, avendo intuito delle macchinazioni in corso tra francesi e grigioni per annettersi, riprendersi o conquistare le tre valli suddette, con conseguente perdita anche di tutto l'Alto Lario, ruppe perentoriamente gli indugi e decise su due piedi per la costruzione di una grande fortezza a Colico; mandò subito esperti militari a sondare luogo e posizione e ad appena sette giorni dalla decisione fu data piena attuazione al progetto, informandone il Re di Spagna a cose compiute. La prima pietra veniva posta il 28 ottobre 1603 alla presenza del Governatore di Como in rappresentanza del Fuentes. Dopo neanche un mese di lavori, il 24 novembre, volendo vi si sarebbe già potuta installare stabilmente una guarnigione di soldati.<br />
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Agli appassionati di storia lombarda consiglio la lettura del seguente post, <a href="http://storiaaquaeductus.blogspot.com/2010/10/il-conte-di-fuentes.html">Il Conte di Fuentes</a>,<br />
dove ho trascritto pagine da un libro raro e introvabile (ne esiste una sola copia in una biblioteca del lecchese, tra l'altro consultabile solo in loco). Vi ho copiato la storia del Conte di Fuentes e quella della costruzione della fortezza, delle quali questo post è un breve saggio, tralasciando però di ricopiare testo e tabelle dei corposi 11 allegati dell'intero capitolo.<br />
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Tralascio i racconti della breve vita del forte e vado al suo epilogo. Con l'arrivo degli austriaci, il Forte fu dichiarato inutile dal punto di vista militare (un pò come la Linea Maginot dei tempi più recenti) e se ne stabilì l'abbattimento o la vendita. Si optò per la vendita che pare si sia aggiudicato l'ultimo Governatore della fortezza stessa, il colonnello Schroder, che aveva agito per il tramite della prestanome Anna Casanova vedova Campioni. Con l'arrivo di Napoleone sulla scena europea, questi, per assecondare un desiderio dei vicini Grigioni, in cambio della loro neutralità ne ordinò la distruzione. Distruzione che avvenne per il tramite di agguerrite squadre di devastatori Grigioni (ben lieti di assolvere al compito da tempo agognato). Alle spese per la distruzione fu obbligato lo stesso popolo comense che aveva a suo tempo pagato per la sua costruzione.<br />
Nel post <a href="http://esperidi.blogspot.com/2010/05/dresda-e-lodi-citta-del-fato.html">Dresda e Lodi, città del fato</a> scrissi che, secondo una mia tesi, <strong>nel bene e nel male</strong> il mito napoleonico era nato a Lodi. Tra le sue pagine nere vi è senzaltro da ascrivere l'abbattimento di <strong>Forte Fuentes</strong>, il quale, se invece fosse ancora in piedi, sarebbe già da tempo iscritto nel novero del <strong>Patrimonio Mondiale dell'Umanità </strong>dell'<strong>Unesco,</strong> anzichè essere ridotto a ruderi come da foto. Ruderi sempe più difficili e costosi da conservare, e dove la vegetazione sta lentamente prendendo il sopravvento su tutto. </div>
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<strong><em><span style="font-size: x-small;">Le foto sono state offerte da Angela Acerboni che ne rivendica il Copyright</span></em></strong></div>
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marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-64594438780164452072013-02-12T14:10:00.002+01:002013-02-12T14:10:52.694+01:00Musso e il Medeghino<div align="justify">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPSPRgZXuO6Fiw5pMENTmUkQbnhWDC_dReH33Pkni9ESwIlS7EuvbyF4LJ_12TUiRkTikEvQc02-JfHhS3_D_lGrcec3icLb-_q8okB4pAdCbYlE-OY5lpHycHyOoSBYIurmJB6U_lODOw/s1600/foto+musso+angela.JPG"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5519693073817853378" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPSPRgZXuO6Fiw5pMENTmUkQbnhWDC_dReH33Pkni9ESwIlS7EuvbyF4LJ_12TUiRkTikEvQc02-JfHhS3_D_lGrcec3icLb-_q8okB4pAdCbYlE-OY5lpHycHyOoSBYIurmJB6U_lODOw/s320/foto+musso+angela.JPG" style="display: block; height: 240px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" /></a>In primo piano, il Sasso di Musso (foto di Angela A.)<br />
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<span style="font-size: 78%;">Premessa: per ragioni di brevità dovrò tagliare in molti degli argomenti trattati, specie in quello accennante al grossolano accostamento che vi ho scorto con <strong>Cesare Borgia, il Valentino</strong>. Per coloro che volessero approfondire l'argomento "storia del Medeghino", consiglio intanto la lettura di due capitoli di una <strong>Storia della Valsassina</strong>, qui trascritti integralmente <span style="font-size: 100%;">(</span><a href="http://storiaaquaeductus.blogspot.com/2010/09/notizie-storiche-sul-medeghino.html"><span style="font-size: 100%;">cliccare qui</span></a><span style="font-size: 100%;">)</span>. Sono scritti nel simpatico italiano di allora, di 170 anni fa. Probabilmente è la stessa forma linguistica usata dal Manzoni nella prima versione dei Promessi Sposi, che tra l'altro è citato in questa storia della Valsassina, per essere l'autore di un romanzo, ancora poco conosciuto, ambientato nel lecchese. La lettura dei due capitoli sarà occasione per un modo simpatico di scoprire l'evoluzione apportata alla nostra lingua nel frattempo.</span> <img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5519315557886438818" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifmFdDjvSNH-ZP8fE2EtGq1MvSer2HxcsCtBXO1tP7d_fpemAJQvAVkH7sLSXdZKqGwXvK5_Ut-yWFZQrktXCmx7g4SWbVp8Rgg5R0SHx8b-cCDPK610D7FoDSX3Rw3LCJBAODJcDw6fo8/s320/stazzona+-+sasso+di+musso.jpg" style="display: block; height: 320px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 240px;" /><span style="font-size: 85%;">Sullo sfondo: Musso, Stazzona, Dongo (foto di Angela A.)</span><br />
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<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Musso">Musso</a> è un comune di appena 1067 abitanti, dislocati in sei frazioni che in tutto occupano 4 kmq. E' situato sulla costa occidentale del lago di Como, tra Dongo e Pianello, ovvero tra Colico e Menaggio, appollaiato ai piedi di un lembo di terra rocciosa che s'insinua come un sasso dentro il lago. Quella roccia, che fin dal tempo dei Romani ha ospitato cave di pregiato marmo bianco, ha assunto l'emblematico appellativo di "Sasso di Musso". Questo minuscolo paese, strategicamente molto importante per l'Impero Romano, ha vissuto un momento di gloria nel primo quarantennio del XVI secolo. La storia che vorrei dipanare, su quanto accaduto a Musso in quel periodo, sembra uscire dalla mente fantasiosa di uno scrittore, e invece è storia vera e documentata. Dubbi potrebbero venire dal fatto che del personaggio non ho trovato la benchè minima traccia nè nei testi scolastici delle scuole di grado superiore del mio periodo, <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRwxAflfUGlB0s3FH5ef2QfXKHjIQ2WG2ByZWT97e3lqWUd3KIw7nIoZTgRaeiYfIhUJYT8CtUy_p2KBDvFS4txO2ryBUycVr6WGGloAshqXcxp81m5iLpukHlt5jfHQCwLzOjhARVlBcD/s1600/200px-Medeghino.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5519020979198406402" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRwxAflfUGlB0s3FH5ef2QfXKHjIQ2WG2ByZWT97e3lqWUd3KIw7nIoZTgRaeiYfIhUJYT8CtUy_p2KBDvFS4txO2ryBUycVr6WGGloAshqXcxp81m5iLpukHlt5jfHQCwLzOjhARVlBcD/s320/200px-Medeghino.jpg" style="float: left; height: 240px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 200px;" /></a>nè dalle più documentate enciclopedie uscite negli anni '60-'70 (esclusa la Treccani, si suppone). E questo sarà forse stato perchè il personaggio in questione è più ricordato come un personaggio piratesco e banditesco, che non un personaggio principesco.<br />
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Per dar corso al progetto che forse aveva in animo, il ventiquattrenne milanese Gian Giacomo De Medici nel 1522 prese di mira il Sasso di Musso, riuscì a battere furbescamente l'impenetrabilità della fortezza e vi si insediò divenendone il signore assoluto.<br />
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Quel Sasso, o monte è facile da ammirare; porta infatti impresso nel suo fianco una vistosa lacerazione, come uno squasso, ricordo delle antiche cave di marmo bianco sfruttate fin dall'epoca romana. Il turista che lo volesse individuare non ha che da percorrere la strada panoramica, la provinciale 72 Lecco-Colico, nel tratto Dervio-Dorio, e volgere lo sguardo verso la riva opposta; vedrà quel lungo squarcio bianco sul fianco di una montagna: là sotto c'è Musso.<br />
Gli avvenimenti del periodo del Medeghino ebbero dello straordinario, non solo per la piccola comunità mussese, ma per tutti gli abitanti del lago e della Brianza. Lo afferma anche lo scrittore della <em>Storia della Valsassina</em> all'inizio del VII capitolo del III libro: ...<em>I fatti che io vo in questo e nel successivo capitolo a narrare sono di un’importanza comparabilmente maggiore degli altri esposti nel presente libro. Imperciocchè racchiudono essi un nuovo periodo di indipendenza dei Valsassinesi e le ultime prove del valore e della gloria loro...</em>.<br />
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Per inquadrare il personaggio Medeghino basterebbero le parole profferite da Polidoro Boldoni, personalità di Bellano, in risposta all'offerta fattagli dal Medici per la mano di una sua sorella ancor nubile: <em>"Non voglio in vita mia contrarre affinità ed amicizia con ribelli e con ladri". </em>Ma sarebbe stata troppo dispregiativa, e il Medici, che non se ne lasciava scappare una, appena potette si vendicò di quella risposta. </div>
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Un altro storico del suo tempo aveva scritto di lui: <em>“Nato in un secolo in cui unica virtù degli ambiziosi era l’accortezza e la fortuna, unica lode il riuscire, ed abilità chiamavasi ogni mezzo inonesto, tristo, immorale e scandaloso; sulle orme del troppo famigerato Duca Valentino, sentivasi atto a tutto osare per arrivare al suo scopo che era il dominio”.</em> Dall'analisi di tale passaggio avrei riscontrato un sia pur grossolano accostamento col <strong>Valentino</strong>, ma tralascio di parlarne per ragioni di spazio. Però, al contrario che nel Valentino, nelle vene del Medeghino doveva scorrere anche sangue gentile, dal momento che una sua sorella, andata in sposa al conte Giberto Borromeo, generò <strong>San Carlo Borromeo.</strong> </div>
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Preso possesso della rocca di Musso, il Medeghino operò una completa trasformazione del borgo, insediandovi le più disparate attività "industriali". E' un altro storico che ne parla: <em>Oltre che per terra, il Medeghino si era reso forte e temuto per tutto il lago, con la creazione di una potente flotta munita di ottime artiglierie, fatta allestire in loco da artefici genovesi. Con essa corseggiava, da vero pirata, tutto il lago, tenendolo in soggezione.<br />Trasformò pertanto la Terra di Musso, ai piedi della sua fortezza militare, in un autentico centro industriale, dove accanto alle fornaci ed ai cantieri navali veri e propri, sorsero officine, laboratori e manifatture complementari. </em>E un altro ancora, il Bazzoni, scrive: <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0okG1loaRdN-N4kLyRTfOXxntyjiWCFZ1RI6Laovi_PIEGJ4moTwuoSlGdwTfXVk21VdjmRe8zHCVquto6ey1q1UQu_sMIdBnr8IugYWSgYYeV_-Z_VJc5USbJ7EbXav9kSDzIumWahur/s1600/medeghino.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5518918752110873810" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0okG1loaRdN-N4kLyRTfOXxntyjiWCFZ1RI6Laovi_PIEGJ4moTwuoSlGdwTfXVk21VdjmRe8zHCVquto6ey1q1UQu_sMIdBnr8IugYWSgYYeV_-Z_VJc5USbJ7EbXav9kSDzIumWahur/s320/medeghino.jpg" style="float: right; height: 320px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 240px;" /></a><br />
<em>“Fece esso erigere arsenali in vari siti, e chiamovvi uomini periti nelle arti marinaresche per dirigerne le opere. Il più vasto però e il più d’artefici e d’attrezzi provveduto era quello di Musso, siccome prossimo al castello, e perciò con maggior facilità difeso e guardato.<br />Maestro Onallo, il Genovese, che n’era capitato, lo aveva conformato a perfetta somiglianza degli arsenali di mare. Era quello un edificio di non molta larghezza, alquanto lungo, e in varii scompartimenti diviso, ciascun dei quali conteneva un’officina d’arte diversa, spettante all’armeria od alla nautica.<br />Quivi erano macchine a sega per le travi, telai per le vele, attorcigliatoi per le gomene e il cordame minore pei fabbri: quivi scortecciavansi gli olmi ed i pini per l’alberatura, e bollivasi la pece e il catrame per calata fare e rimpalmare i legni.<br />Trovavasi in quell’arsenale il quartiere degli spadai, dei fabbricanti delle alabarde, degli archibugi e di altre simili armi da bra</em></div>
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C'eran quindi tutte le premesse affinchè il De Medici potesse aspirare a crearsi un suo regno. La capitale iniziale, come in tutte le favole a lieto fine, poteva anche essere il minuto borgo di Musso, per poi aspirare a Milano, visto che era già diventato marchese di Lecco per nomina imperiale. La già avvenuta conquista di Monguzzo col suo castello, nell'Alta Brianza, avrebbe potuto spianargli la strada verso Milano, dato che si era anche impadronito del sito preistorico del <strong>Buco del Piombo</strong>, presso Altavilla, adatto rifugio dopo le sue rapide incursioni nel Milanese. E da Milano eventualmente poi?...</div>
<img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5518622793834193506" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQnAex3HXY8DL1unqonY95xA7wNPO9FoLbkm6mLVGcELpBILNKsovTqy9oW9yCg9K-KdR2CytWkIKKfE6CWlsXUg2kk_xmGYaK3h5yyS6ld8kM_wxKYkfRNGkYk4hjZiWPV4tkp_AZAgpB/s320/foto+fino+al+3+settembre+2010+400.jpg" style="display: block; height: 240px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" />...Ma qui andiamo nel campo delle ipotesi più irrealistiche, ma forse neanche tanto. Avrebbe forse potuto far giungere all'unità d'Italia con trecento anni d'anticipo? Due i fatti importanti che potrebbero avvalorare tale ipotesi. Il Medeghino, estromesso da Musso, sopravviverà ancora 23 anni, continuando a combattere alacremente nel frattempo. Dopo i tentativi andati a male al Valentino e al Medeghino l'Italia continuerà a rimanere frazionata in un rivolo di stati, per lo più in mano straniera. Pensate solo a Milano, che dopo l'epoca del Medeghino era passata agli spagnoli, quindi agli austriaci, poi a Napoleone e quindi ancora agli austriaci. E solo nel 1861, con l'unità nazionale, giungerà la liberazione definitiva da essi, per quasi tutti.<br />
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Tornando un'attimo indietro, alla bella favola che fu la rocca di Musso, essa era talmente inespugnabile da dar fastidio alle maggiori potenze del momento, intente a spartirsi o a disputarsi l'Italia: la Spagna di Carlo V, la Francia di Francesco I, la Serenissima dei potenti dogi, i Grigioni svizzeri, la Milano degli ultimi Sforza. Fu così che per levare di scena l'incomoda fortezza del Medeghino, offrirono a lui un'enorme dote in denaro (35.000 ducati d'oro) e il marchesato di Melegnano col suo castello. Ai contendenti non parve vero di essersene liberati. Tant'è che via lui provvidero a cancellare dalla faccia della terra l'antica imprendibile fortezza, le cui origini potrebbero anche risalire alla notte dei tempi, quindi prim'ancora dell'arrivo dei Celti. Della fortezza del Medeghino, contenente sicuramente reperti dell'epoca Gallo-Romana ed oltre, pare non sia rimasto più nulla, neanche una traccia, fuorchè l'oratorio, luogo sacro entro le mura dell'antica fortezza, abbattuto in seguito per erigere <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/2010/09/la-leggenda-di-musso.html">la chiesa di Santa Eufemia</a> sopra le sue fondamenta.</div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-gRGN1EjFHnyHi_Ee-kyf75NQyUnitqdHhS4h7vsWN9YxjqBfKJ7VoO3OJuTnFsfb_wyB5dJQHiVtUZtOA_xDSiPiGrSdmhAmftRttLMM-8qYqBPZDlzDjkShlaKcm8RVv2z14AtqJOPP/s1600/sant'eufemia+musso.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5519019340780853458" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-gRGN1EjFHnyHi_Ee-kyf75NQyUnitqdHhS4h7vsWN9YxjqBfKJ7VoO3OJuTnFsfb_wyB5dJQHiVtUZtOA_xDSiPiGrSdmhAmftRttLMM-8qYqBPZDlzDjkShlaKcm8RVv2z14AtqJOPP/s320/sant'eufemia+musso.jpg" style="float: right; height: 240px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 320px;" /></a></div>
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E ad ogni buon conto, come già detto, delle imprese del Medeghino non ho trovato la benchè minima traccia in testi scolastici ufficiali della mia epoca: totalmente ignorato dagli storici. Eppure gli andrebbero sicuramente attribuiti almeno due meriti. Come il Valentino tentò nel centro-nord Italia, così quello del Medeghino potrebbe anche essere interpretato come un tentativo simile di creare uno stato unitario e forte, qui al nord, escludendovi ingerenze straniere. Inoltre al Medeghino, avendo bloccato i Grigioni al di là delle alpi, va comunque e in ogni caso attribuito il merito di aver fermato il protestantesimo fuori dalle porte d'Italia, lasciandolo relegato in territorio svizzero.<br />
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E il Medeghino fu bandito o principe? nella prima ipotesi è giusto ricordare che tra le sue imprese banditesche si annoverano anche rapimenti a scopo di estorsione (per ricavare mezzi necessari a pagare la soldataglia). Nella seconda è utile ricordare un episodio storico legato alle monete di sua coniazione (l'episodio è ricordato anche dall'Arrigoni). Durante uno dei tanti assedi subiti fu costretto a coniare monete (ne aveva avuta l'autorizzazione da parte di Carlo V) perfino col cuoio, o comunque con metalli di scarso valore, ma coniati con un alto valore facciale. Obbligò la gente ad accettarle, sotto pena di punizioni assai severe, finanche la morte, con l'impegno però di redimerle ad assedio concluso. Terminato il quale, il Medeghino, come promesso, si era accinto a cambiare quelle monete con quelle "giuste", ma nessuno le volle riconsegnare, tenendole e tesaurizzandole a ricordo di quel periodo. Quelle monete fanno ora ancora parte di intensa ricerca da parte di collezionisti professionisti.<br />
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Principe o bandito che sia stato, il corpo del Medeghino riposa all'interno del Duomo di Milano, dove suo fratello, Giovanni Angelo, divenuto <strong>papa Pio IV,</strong> gli aveva fatto erigere la seguente magnifica tomba monumentale.<br />
<img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5518181437902137602" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitWj8ETUoTIRwjE3mls7HO8TnVT2ObLz2J-TJ1cSAKQ4pYLIbSGvpAVcJojzvlSfmyivcDejAD1ld-MbVFvoifLhuSBJIg_utneN1WHuvA7bwpbFMh1zJdC4daOa4oLz05xBLi58VNMOpB/s320/Monumento+tombale+del+Medeghino.jpg" style="display: block; height: 240px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" /></div>
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<strong>Dal Diario del 21 settembre 2010</strong></div>
marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-17179750419354865272013-02-09T08:00:00.000+01:002013-02-09T08:00:03.792+01:00La Via del Ferro<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZ3Pj-dYfMpgBOG1XwyQ1Pj1oL3I3z3DdsxVtT9NcHrUkAwz7D4t-ZCVOQ20WyxkFX4QeXIvknDuB9Tc7uTsG2SS0ssihrQP1G1ljRPAh7742qQF8wMSLkdi1ek9rcuhk0SN4uuFnBBvda/s1600/valvarrone.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="202" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZ3Pj-dYfMpgBOG1XwyQ1Pj1oL3I3z3DdsxVtT9NcHrUkAwz7D4t-ZCVOQ20WyxkFX4QeXIvknDuB9Tc7uTsG2SS0ssihrQP1G1ljRPAh7742qQF8wMSLkdi1ek9rcuhk0SN4uuFnBBvda/s320/valvarrone.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Valvarrone - Tremenico - foto dal sito </span><a href="http://www.ecomuseodellavalvarrone.it/pages/04_immagini06_imgs_storiche_archpietra08.html"><span style="font-size: x-small;">Ecomuseo della Valvarrone</span></a><br />
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Volevo scrivere un post a completamento dei tre brani che ho trascritto dal libro di Enrico Baroncelli, <strong><em>La Valle del ferro</em></strong> <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/search?q=enrico+baroncelli">(questi i brani)</a>, ma il racconto sulla <strong><em>Via del ferro</em></strong>, parte integrante della storia della Valle, mi ha entusiasmato a tal punto da farmi deviare dal proposito iniziale. In Italia ci sono tante altre <strong><em>vie </em></strong>o <strong><em>valli </em></strong>con questi toponimi, ma la valle di cui si parla in questo post è quella che si estende tra la Valsassina e la Valvarrone.</div>
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Nel VI secolo A.C. fu forse un gruppo di etruschi, spintisi fino a quelle latitudini, ad introdurre in quelle valli il metodo di estrazione del ferro da rocce metallifere; aveva così inizio la vocazione mineraria della vallata. Una vocazione che procede tuttora nel distretto manifatturiero di <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/search?q=forbici+premana">Premana</a>, dove ogni casa è un laboratorio per la lavorazione del ferro. Nel paese vengono prodotte forbici per le quali è famosa Premana nel mondo. </div>
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La storia plurimillenaria delle miniere della Valsassina e Valvarrone, nel Seicento e Settecento s'incrocia con quella di due potenti famiglie della valle, i Monti e i Manzoni, che in quel periodo ebbero un ruolo primario nelle vicende geo-politiche della valle. Nel 1647 la Valsassina era stata infeudata per la prima volta nel corso della sua storia, e il primo feudatario fu un Monti, il quale, per vanagloria, assieme al feudo aveva pure acquistato il titolo nobiliare di Conte, conte don Giulio Monti. Dalla famiglia Manzoni, proprietaria di quasi tutti i forni della Valvarrone, nascerà <strong>Alessandro Manzoni.</strong> Ma queste sono belle storie che riprenderemo eventualmente in altri post, qui ci occupiamo di storia mineraria della valle.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUXB7QUSQ8plJGmOe7DpazB3mMC5FrSMuq4fOskCpP-2L4tJWnWoIVe-Qx_385ntWz4tkAVH89-Q1DYwoaSRQxvb3HhMgr6MG9UFk9CVrdVHiXv90jHF5GMHhTu7yTubpYDvppUXfVTIo1/s1600/Premana+il+rudere.bmp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUXB7QUSQ8plJGmOe7DpazB3mMC5FrSMuq4fOskCpP-2L4tJWnWoIVe-Qx_385ntWz4tkAVH89-Q1DYwoaSRQxvb3HhMgr6MG9UFk9CVrdVHiXv90jHF5GMHhTu7yTubpYDvppUXfVTIo1/s320/Premana+il+rudere.bmp" width="320" /></a></div>
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<strong><span style="font-size: x-small;">Premana. Il rudere è ciò che rimane di una vecchia fucina. Vicino ci sono anche i forni che servivano a fondere il ferro scavato dalle miniere della vallata (Foto di Donata Barin)</span></strong></div>
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La <strong>Via del ferro</strong>, questa via del ferro, da non confondere con altre, ha avuto anch'essa origini nell'<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Et%C3%A0_del_ferro">Età del Ferro</a>, e precisamente tra i secoli VI - II A.C., forse ad opera di etruschi che s'erano spinti fino a queste latitudini, sul Monte Varrone, la montagna alle spalle di Dervio, località del <strong>Lago di Como </strong>situata tra <strong>Bellano </strong>e <strong>Colico</strong>. La presenza di etruschi sul Varrone pare sia ancora avvolta nel mistero, non essendo stato trovato alcun reperto che lo comprovi. E' invece certo che a loro si sovrapposero gruppi di <strong>Celti-Liguri, </strong>i quali dovettero poi lasciare il campo a popolazioni barbare provenienti da nord. Seguirono i <strong>Galli</strong>, padroni della zona fino all'arrivo dei romani, avvenuto nell'anno 196 A.C., con le legioni di Claudio Marcello. Anzichè combatterli e cacciarli, quei romani optarono per la pacifica convivenza con i Galli, formando così un nucleo misto di Gallo-Romani, contemporaneamente presenti anche a Milano. Per le miniere di ferro della <strong>Val Varrone </strong>iniziava un periodo d'intenso lavoro, durato incessantemente fino al termine dell'età viscontea. Nell'Età Romana, i lavori più pericolosi e massacranti - scavo nelle miniere e trasporto del materiale alle fornaci - veniva fatto svolgere da schiavi che i romani avevano strappato dalle loro terre.</div>
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La via del ferro della Valvarrone era una ragnatela di sentieri e mulattiere rimaste attive migliaia di anni, che partivano dalle cave sparse per i monti, per confluire a fornaci parecchio distanti. Tragitti lunghi, quindi, e assai faticosi, tanto che un cavallo, carico di rocce da colare, pesanti l'equivalente odierno di circa 160 kg, poteva fare un solo viaggio al giorno. </div>
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Nel Settecento le fornaci della Valvarrore in totale erano 6, e quasi tutte di proprietà dei Manzoni. Dai punti di colatura quasi tutto il ferro prodotto prendeva la via per Milano. Non essendoci strade, ma solo sentieri fino al 1832, quando gli austriaci inaugurarono la <strong><em>strada militare per lo Stelvio, divenuta poi l'attuale provinciale 72 Lecco - Colico</em></strong> (vedi alla voce <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/search?q=il+sentiero+del+viandante">Sentiero del Viandante</a>), le merci viaggiavano via lago fino a Como, per poi giungere a Milano tramite l'antica arteria viaria costruita ancora in età Romana quasi 2000 anni prima. Per ridurre la durata, e alleviare la fatica per quel genere di trasporti, Ludovico il Moro ordinò l'apertura del naviglio della Martesana (originariamente nato solo per scopi irrigui) al passaggio di barconi mercantili. In tal modo il traffico fu dirottato gradatamente a Lecco. Da lì le merci potevano giungere direttamente alla Darsena di Milano, col solo disagio per un doppio trasbordo nei pressi di Paderno d'Adda (vedi alla voce <a href="http://esperidi.blogspot.com/2011/12/leonardo-al-must-di-vimercate.html">Leonardo al MUST di Vimercate</a>). Nei pressi della Darsena erano dislocati tutti gli utilizzatori di quelle merci, nel nostro caso il ferro, raggruppati in <em>vie </em>che già in epoca <em>viscontea </em>portavano nomi che richiamavano ai loro mestieri: <strong><em>via Spadari</em></strong>,<strong><em> via Armorari, </em></strong>ecc<strong><em>.</em></strong></div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
L'assenza di una vera rete viaria rendeva sempre meno conveniente la produzione locale, a favore di altri concorrenti regionali, tra cui le fornaci di <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/2010/09/dongo-ovvero-delle-origini-della-falk.html">Dongo</a>, poste dall'altra parte del lago, sulla riva occidentale, che invece godevano di una funzionale viabilità stradaria fin dall'epoca romana, attraverso la Strada Regia (poi Strada Regina). E' quindi logico pensare che i <strong>porti di Dervio e di Bellano </strong>rivestirono grande importanza nei secoli, fino al 1832, poichè mancavano strade di comunicazione, e i commerci per Milano, sbocco privilegiato per le merci della Valsassina, si potevano svolgeve solo via lago. </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHs2A0b5JGqaVNPPT_8oEI0-OY1jKxj6z2qzkSZ6a0CKbkhj9GTisPT0XxyTBniiGhxuqEV0uiSM-M8_bYrkdNyfBHMsZwv38vS6Tjny9K5RqpT6hwiwSKgtSAbxk8x9ZumicyY6JQ1rfX/s1600/P2023066.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHs2A0b5JGqaVNPPT_8oEI0-OY1jKxj6z2qzkSZ6a0CKbkhj9GTisPT0XxyTBniiGhxuqEV0uiSM-M8_bYrkdNyfBHMsZwv38vS6Tjny9K5RqpT6hwiwSKgtSAbxk8x9ZumicyY6JQ1rfX/s320/P2023066.JPG" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Forbici di Premana - foto mia</span></div>
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Curiosando.</div>
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Nel 1782 a Premana il Forno detto di San Giorgio <em>"lavora quattro mesi ogni due anni, consuma ogni giorno 32 sacchi di carbone e cuoce 44 Cavalli di vena circa, da cui ricavasi circa Pesi 117 di Ferro crudo e pesi 3 di Ferro minuto"</em>.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
Per far rilanciare il ferro della <strong>Valsassina, </strong>rendendolo più competitivo, sul finire del XVIII secolo gli austriaci costruirono la strada Taceno-Bellano.</div>
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<br /></div>
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Secondo il saggio-ricerca di Enrico Baroncelli, ferro della Valvarrone sarebbe stato impiegato per la costruzione del Teatro La Scala.</div>
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<br /></div>
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All'epoca dei Monti e dei Manzoni, si utilizzavano unità di misura totalmente diverse da quelle odierne. </div>
<div style="text-align: justify;">
Estrapolate dai <a href="http://www.dervio.org/qd/gloss/unita/pesi.htm">quaderni derviesi, a cura di Michele Casanova</a>, ecco alcune unità di peso utilizzate per gli scambi commerciali.</div>
<div style="text-align: justify;">
Per il ferro si usava il <strong><em>rubbo,</em></strong> equivalente a 8,17 kg per la città di Milano, e 7,916 kg nella città di Como.</div>
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<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAiC_BAxPWaSPfFwZDnveul0grh-64bvJruEC06HmbFXD-58iJl-BGuV7YePFgaeXzjDrQMCm60OKbMkR4I_rnD8Mah5BV5gmGxMiECcwVq3TzdQ5rxWYuAhm48hOfpk3CtcRuJ3lXWPr1/s1600/Premana+4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAiC_BAxPWaSPfFwZDnveul0grh-64bvJruEC06HmbFXD-58iJl-BGuV7YePFgaeXzjDrQMCm60OKbMkR4I_rnD8Mah5BV5gmGxMiECcwVq3TzdQ5rxWYuAhm48hOfpk3CtcRuJ3lXWPr1/s320/Premana+4.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Cataste di legna ricoperte di terriccio per produrre carbone a legna</span></div>
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<span style="font-size: x-small;">Foto di Donata Barin, dalla festa </span><a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/search?q=premana"><span style="font-size: x-small;">"Premana rivive l'antico"</span></a></div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
Per il carbone, necessario per colare il ferro, si usava il <strong><em>moggio, </em></strong>corrispondente a varie <strong><em>libbre</em></strong>, unità di peso variabile, a seconda del genere di prodotto da pesare (esempio, un moggio di frumento corrispondeva a 340 libbre).</div>
<div style="text-align: justify;">
La <strong><em>libbra</em></strong> aveva anche due sottounità: <strong><em>libbra grossa </em></strong>(0,76252 kg a Milano);<strong><em> libretta </em></strong>(0,3268 kg a Milano).</div>
<div style="text-align: justify;">
I boschi della Valsassina venivano di norma tagliati ogni 30 anni, e da ogni pertica di bosco si potevano ricavare circa 63 <strong><em>moggia di carbone.</em></strong></div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
I <strong><em>Ferraini</em></strong> - cioè gli scavatori - siccome erano pagati a cottimo, per avere una maggiore mole di minerale da consegnare non facevano una cernita diligente. Buttavano dentro di tutto, e questo danneggiava il padrone, quindi l'impresa, che poi spesso chiudeva o falliva, anche a causa di questo sleale comportamento che ne abbassava la resa. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
Nel 1783 il forno al Ponte Regio di Premana, di proprietà di <strong>Massimiliano Manzoni,</strong><strong> </strong>dava lavoro a circa 150 persone. Lo aveva concesso in affitto fin dal 1775 a <strong>Francesco Mornico, </strong>il quale, nel 1788, vi produsse il <strong>primo acciaio italiano. </strong>Massimiliano e il poeta Alessandro Manzoni discendevano dall'avo comune Pasino Manzoni, valsassinese morto nel 1592.</div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="http://www.youtube.com/embed/GLNiqUisqEs" width="420"></iframe><br /></div>
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<br /></div>
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La via del ferro - nell'interpretazione di Davide Van De Sfroos</div>
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<strong>Dal Diario del 18 dicembre 2011</strong></div>
marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-17075881881782772662013-02-06T08:00:00.000+01:002013-02-06T08:00:07.643+01:00La città e l'Acropoli di Cassino<h2 class="date-header">
</h2>
<div class="date-posts">
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<div class="post-body entry-content">
<img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5348758615584819810" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0PG7xU6-Q875SllNf5bluWwwhSWr5phxUwcoY4ACmjp72VQ2JOlPUVPgydsHHU3C4Bow51i4BMmRfYL7UyF27GLtSeqZra9h6lota7oF1UMuTFpHNACyawJUOuBKC5fR1ZCYxFi3De1PC/s400/chiesa48.jpg" style="display: block; height: 318px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 400px;" /><br />
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Cassino, Brianza del Sud (*). E non solo metaforicamente, se pensiamo che nel 584 era stata invasa, e distrutta, unitamente al <strong>monastero di San Benedetto</strong>, da una branca dell'esercito Longobardo. Questo, che si era spinto fin lì, creando poi la Longobardia Minor, con centri a Benevento e Spoleto, riuscì a proseguire la sua secolare esistenza in quella terra, fin dopo l'arrivo dei Franchi di Carlo Magno. E soccombette solo ai Normanni.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhET0C8fqNEIMkNoZMhYzOmGkSmaE-arqmoWNNSmHaEERTyAN4DXEQzAen8wadHcC5F3nlpQ7dYygT-xypcRPclypDneb1p8O2yS85D3hufQUCWFQayaymmgb6EmkH-tvP8Mjy4Mnu5gLv5/s1600-h/Montecassino_-vista_del_complesso_come_appariva_agli_inizi_del_XVIII_secolo.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5348759986451999090" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhET0C8fqNEIMkNoZMhYzOmGkSmaE-arqmoWNNSmHaEERTyAN4DXEQzAen8wadHcC5F3nlpQ7dYygT-xypcRPclypDneb1p8O2yS85D3hufQUCWFQayaymmgb6EmkH-tvP8Mjy4Mnu5gLv5/s320/Montecassino_-vista_del_complesso_come_appariva_agli_inizi_del_XVIII_secolo.jpg" style="float: left; height: 240px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 320px;" /></a>Cassino, Brianza del Sud, intesa come sinonimo di operosità, se si pensa che la famosa <strong>Regola di San Benedetto</strong>, Prega e Lavora (Ora et Labora) è stata coniata sulle cime del suo monte: Monte Cassino (**). E lo ha dimostrato con le opere, di meritare questo appellativo. In dieci anni, dopo che i bombardamenti del 1944 avevano completamente rase al suolo città e monastero, nel 1957 Cassino e Montecassino (**) erano già state completamente ricostruite. E ciò appare incredibile, confrontando foto del 1957, dove si vede una grande città completamente ricostruita, con le documentazioni fotografiche del maggio 1944, dove appaiono solo spianate di ceneri e macerie. Le foto di cui parlo, sono visibili nel libro "Cassino e Montecassino 1943-2004", non pubblicabili, per via del <em>copyright</em>; ma molte di esse sono reperibili su Google Immagini. Un'idea della portata di quel disastro, è però possibile farsela, riportandoci ad un brano di quel libro: "alla fine del 1942 (la popolazione) ammontava a 21.275 residenti, ed era la seconda città della provincia di Frosinone per numero di abitanti. Nell'estate del '44 la distruzione al 100% di tutto il patrimonio abitativo urbano e rurale e del 90% di quello zootecnico, lo sfollamento in massa, la perdita di ogni bene avevano determinato lo spopolamento totale del territorio. Appare dunque incredib<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhj1b-ohOcyY62QhoI3hFsRSHfXHgnDIzZlHVJLG_nA0i3a8Zb0r9zi9XNnrUK6wifRU8aknTfLEK3jhuhty1rsdRiV2uR1lvVzLSc8CMo_ymWAOKDLF_84Hl7LQu5v5b5sEgdw1SJGXWd3/s1600-h/Ruderi_dell'abbazia_dopo_il_bombardamento.jpg"></a>ile che nel censimento del 4 novembre 1951 la città facesse già registrare 19.256 abitanti". Solo da una visita sul posto, si potranno avere l'esatta percezione dell'operosità congenita di quella popolazione, la quale, non a caso, fino al 1927 era inserita in una regione storico-geografica, posta tra il nord della Campania e il Basso Lazio, dall'emblematico nome di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Provincia_di_Terra_di_Lavoro"><span style="color: #473624;">Provincia di Terra di Lavoro </span></a>.</div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaF-fJ6OjF3I5xc8isI6gESgmx7qojnSlfHoLnZF824QssFDFjQloDeSVLIl8V_Nz6eokzHor0npx-imzaY8cmJK7CHqBvruFD-ZPDu9errPfmoMa8_UjidCToMtBqwNSgPB3Dm-0nGeE6/s1600-h/La_Via_Romana.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5348762995535977730" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaF-fJ6OjF3I5xc8isI6gESgmx7qojnSlfHoLnZF824QssFDFjQloDeSVLIl8V_Nz6eokzHor0npx-imzaY8cmJK7CHqBvruFD-ZPDu9errPfmoMa8_UjidCToMtBqwNSgPB3Dm-0nGeE6/s320/La_Via_Romana.jpg" style="float: right; height: 240px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 320px;" /></a><br />
<div style="text-align: justify;">
Appare così evidente la motivazione con la quale le abbiamo coniato l'appellativo di Brianza del Sud. Dalla fine dell'Impero Romano, Cassino e Montecassino sono state distrutte, e poi prontamente ricostruite, ben quattro volte: quattro volte in 1500 anni. A causa della sua ultima distruzione totale, Cassino è stata definita Città Martire. E a ricordo di quest'ultima distruzione e a monito circa la stupidità delle guerre, all'ingresso dell'abbazia di Monte Cassino troneggia la parola <strong>PAX</strong>, a caratteri cubitali, ad accogliere i visitatori. A tali fatti e avvenimenti del passato si è fatto cenno durante la presenta<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgpl4uVzMPkyc-Cbs4EO2uuAovjcTkCvnBNY1-aNidVuECItmcL_nlyp5Idmiej_5k6II7uek5tRkMYSTGKajOufXIPnH4ZWdl73mvkyONo3AGHraG3Q0iga2zenydTFdT0-ql3k28gbyR/s1600-h/cassino_anfiteatro.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5348758862336919314" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgpl4uVzMPkyc-Cbs4EO2uuAovjcTkCvnBNY1-aNidVuECItmcL_nlyp5Idmiej_5k6II7uek5tRkMYSTGKajOufXIPnH4ZWdl73mvkyONo3AGHraG3Q0iga2zenydTFdT0-ql3k28gbyR/s320/cassino_anfiteatro.jpg" style="float: left; height: 121px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 123px;" /></a>zione del viaggio di <strong>Papa Benedetto XVI</strong>, del 24 maggio scorso a Cassino e Montecassino. E a futura memoria del memorabile incontro nel grande spiazzo principale di Cassino, la sua popolazione ha voluto dedicare a Papa Benedetto XVI l'intitolazione di quella piazza.La prima distruzione, come s'è detto, avvenne nel 584 ad opera dei Longobardi; erano trascorsi appena 55 anni, da che era stata inaugurata da San Benedetto. La seconda, perpetrata da parte dei saraceni nell'883, dopo che generazioni di monaci avevano atteso per anni alla sua ricostruzione. La terza distruzione avvenne 1349 ad opera di un violento terremoto che aveva scosso tutto il centro-sud Italia. </div>
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L'ultima distruzione, certamente la più micidiale e dolorosa, è avvenuta nel<strong> febbraio-marzo 1944</strong>, a causa dei massicci e tristemente famosi bombardamenti. Mentre le prime tre ricostruzioni andarono a rilento (la prima volta fu portata a compimento solo nel 717, la seconda nel 949 ), per la terza ricostruzione, quella che ci ha tramandato il monastero, ampliato e maestoso per come lo vediamo ora, si impiegarono soltanto 17 anni. Molto più celere, solo 10 anni, fu la ricostruzione conseguente al bombardamento aereo del 1944.Nel XXII canto del Paradiso, Dante fa l'apoteosi di San Benedetto, e della sua Regola, con terzine memorabili:<br />
<br />
<em></em><br />
<em>Quel monte, a cui Cassino è ne la costa,fu frequentato già in su la cimada la gente ingannata e mal disposta;e quel son io che su vi portai primalo nome di colui che 'n terra addussela verità che tanto ci sublima;</em></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBX9_INFLAFc0kj9oPKNQeRZi3pazrEZGAY661uR7ou_4zH0gkIOYGM0EPqMCfLecKB32Jqz3RrvNsHPm71hZWhwzezxAwO_zxQpmAX2rUoV7kr5IW1uuGAl-MB9W9DTZfaP8ZIz8zS_9v/s1600-h/Anfiteatro_romano.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5348761835277771954" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBX9_INFLAFc0kj9oPKNQeRZi3pazrEZGAY661uR7ou_4zH0gkIOYGM0EPqMCfLecKB32Jqz3RrvNsHPm71hZWhwzezxAwO_zxQpmAX2rUoV7kr5IW1uuGAl-MB9W9DTZfaP8ZIz8zS_9v/s320/Anfiteatro_romano.jpg" style="float: right; height: 179px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 320px;" /></a>Sapendo dell'incursione barbarica del 584, il lettore frettoloso potrebbe essere indotto a pensare che quei versi (la "gente ingannata e mal disposta") si riferiscano ai longobardi che frequentarono l'acropoli cassinese ("già in su la cima"), distruggendola. Gli eccellenti commentatori danteschi, ci illuminano, invece, sul fatto che quella "gente ingannata e mal disposta" era la popolazione romana del Cassinate, che credeva nelle divinità pagane e che saliva alla sommità dell'acropoli per andarle ad adorare. Sulla sommità di quel monte, dove ora c'è l'abbazia di Montecassino, c'era, dunque, in epoca romana, un santuario dedicato al dio Apollo. Dev'essere stato sontuoso e di enormi dimensioni, se storia e Dante ci dicono che sopra le sue rovine San Benedetto vi costruì il primo e più grande monastero cristiano al mondo. Ma poco o nulla ci è dato di sapere di quel sito. Ci possiamo aiutare molto con l'immaginazione, facendo accostamenti e similitudini col tempio a Giove-Axun di <strong>Terracina,</strong> in provincia di Latina, e col santuario di <strong>Palestrina</strong>, in provincia di Roma, del quale parla<strong> </strong><a href="http://esperidi.blogspot.com/2009/06/tesori-nascosti-ditalia.html"><strong><span style="color: #473624;">Aretusa</span></strong></a> nel suo ultimo post. La fototeca allegata <a href="http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/arte/gallerie/aula-absidata/aula-absidata/24.html"><span style="color: #473624;">al post </span></a>è di grande aiuto per comprendere la grandezza e l'importanza dei santuari romani, ed, in particolare, del santuario dell'acropoli di Monte Cassino. Casualmente, i due siti archeologici si trovano entrambe a circa 100 km di marcia dal monastero di Montecassino.Il santuario romano-pagano di Terracina, la cui sommità è visibile anche ad occhio nudo dalla sua bella spiaggia, è quello che, più di ogni altro, può dare un'idea di come potrebbe essere stato il tempio di Apollo, sulle cui rovine San Benedetto ha edificato il suo primo monastero. Anche se Cassino non è propriamente annoverata tra le città d'arte, e anche se delle vestigia romane è rimasto ben poco, perchè andato perso nel corso delle quattro devastazioni subite, essa deve comunque aver avuto un ruolo molto importante in epoca romana. Trent'anni fa, in occasione di una mia visita, importanti opere risalenti all'epoca romana, sembravano ancora in stato di completo abbandono. Ciò era dovuto a carenza di forze, diversamente impegnate nella ricostruzione post-bellica. Oggi, alcune di tali opere sono state restaurate e restituite alla fr<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbXPc9UklPff21RM0ZdLoljLzrJ2-BuhGalP9T5pKgyY4-TSp_WDgmgwarRg_YrJ5F44nB-o41UOG3TEpqWGQU4F0Zs81yFJE1GUbreDvRnRVEHAH9Q2P6Cu7H3D1vrjYpOK2VmrchPVza/s1600-h/Rocca_Janula.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5348759276915815026" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbXPc9UklPff21RM0ZdLoljLzrJ2-BuhGalP9T5pKgyY4-TSp_WDgmgwarRg_YrJ5F44nB-o41UOG3TEpqWGQU4F0Zs81yFJE1GUbreDvRnRVEHAH9Q2P6Cu7H3D1vrjYpOK2VmrchPVza/s320/Rocca_Janula.jpg" style="float: right; height: 234px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 312px;" /></a>uibilità di cittadini e visitatori. Tra queste vi è sicuramente la <strong>Rocca Janula</strong> (vedi foto a <em>destra)</em> una possente opera difensiva, risalente alla fine del primo millennio. Altre opere restaurate sono: il <strong>Teatro Romano, l'Anfiteatro romano e la Strada latina romana</strong> lastricata, delle quali sono visibili le foto. Per i 22 km di acquedotto romano, per le Terme di Varrone, per il Ninfeo bisognerà forse attendere ulteriori opere di restauro. A completamento della ricostruzione mancherebbe forse un ultimo tassello: il ripristino e la ricostruzione della funivia a campata unica, che col suo salto mozzafiato di oltre 400 m, quasi in verticale diretta, portava pellegrini e turisti direttamente all'Abbazia in soli 7 minuti. Era stata inaugurata il 21 maggio 1930; distrutta durante la guerra, non è più stata ricostruita. Una curiosità storica. Nell'Anfiteatro romano di Cassino avvenne la tappa di un drammatico fatto d'armi, con epilogo a Benevento. Nel 1266 vi si asserragliarono gli uomini di Manfredi, nel tentativo di resistere all'invasore angioino. La vicenda terrena di Manfredi, e quella vicenda conclusasi a Benevento con la sua morte, sono mirabilmente ricordate nel più bel Canto del Purgatorio: il III Canto: "biondo era e bello e di gentile aspetto", e <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/2009/05/il-giro-ditalia-benevento.html"><span style="color: #473624;"><strong>qui</strong> </span></a>un altro stralcio .</div>
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(*) Nel 1971 con l'inaugurazione dello stabilimento FIAT di Cassino, si è posto fine al processo migratorio delle genti di quella terra. Anzi, da allora si innescato un processo inverso di ritorno. Ancora oggi, giovani della terza generazione di immigrati da quella terra, hanno avuto la forza e il coraggio di intraprendere il viaggio contrario di quello che aveva fatto immigrare i loro nonni. (**) Non a caso ho voluto scrivere Montecassino nelle due versioni alternate: Montecassino e Monte Cassino. Ciò a seguito della falsariga tracciata da <em>Wikipedia</em> ed anche perchè Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione Nazionale dal '36 al '43, in un suo saggio su "L'ideale romano e cristiano del lavoro in San Benedetto", la cita sempre col nome sdoppiato: <strong>Monte Cassino</strong>.</div>
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<strong>Dal Diario di giovedì 18 giugno 2009</strong></div>
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marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-2814860682216291672013-02-05T09:20:00.002+01:002013-02-05T09:20:46.460+01:00Teodolinda Regina dei Longobardi<h2 class="date-header">
Dal Diario di venerdì 15 maggio 2009</h2>
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<img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5336142955213072338" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwkRq_1eYmkcs39dazoAjXH5bE8-iAQCuQDPZC35aFKjH_6Dri1mFNC4o-h08CxK19fmH_Yb3O0f2o81GWCQ3D78QbKVBIr61TkKACqw89czeT4h93wi4FQllP4MUy5qcpxOfH1AgrZDSe/s400/rmuseomonza3.jpg" style="display: block; height: 248px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 400px;" /><br />
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<em>Una nuova provincia s'affaccia ai nastri di partenza, fissata per il 6 e 7 giugno prossimi. Cinquantacinque comuni della provincia di Milano si sono uniti per dar vita alla provincia di Monza e Brianza. Questo post è dedicato a lei.</em><br />
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Il 15 <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiH70s1S90lDCob_cI7XOWFpiuvcoWsGO6gtn-JDjQkzYq05McUqmvI3Y7LyZZh8OKUnDKLCa0sFk-Tu4EtRah7tm8Ke8LXG6xa6Tq1l5WyFO7tPjovXMi17g2pZxKFvfw13mY-xUQ9m1g8/s1600-h/teodolinda.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5336145792870659058" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiH70s1S90lDCob_cI7XOWFpiuvcoWsGO6gtn-JDjQkzYq05McUqmvI3Y7LyZZh8OKUnDKLCa0sFk-Tu4EtRah7tm8Ke8LXG6xa6Tq1l5WyFO7tPjovXMi17g2pZxKFvfw13mY-xUQ9m1g8/s200/teodolinda.jpg" style="float: left; height: 200px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 163px;" /></a>maggio 589, a Verona, nell'accampamento dei Longobardi, di fronte ai cavalieri addobbati e schierati per il grande evento, venivano officiate le nozze fiabesche tra il loro re Autari e la giovane fidanzatina Teodolinda; da quel giorno Teodolinda sarebbe entrata a pieno merito nella storia e nella leggenda. Storia e leggenda di alti e bassi. Bassi, come quado Dante la ignorò o dimenticò di citarla nella <strong>Divina Commedia</strong>. Colpa non tutta sua, forse, perchè i Longobardi, come prima di loro i Celti, tramandavano solo oralmente le loro storie, e può darsi che a Dante, dopo circa 600 anni dalla morte di Teodolinda, delle storie di lei non fosse pervenuto nulla; altrimenti l'avrebbe sicuramente cantata nel Paradiso, creando per lei versi intuitivamente entusiastici e di facile ispirazione. E' singolare la storia della regina Teodolinda: acclamata, protetta, benvoluta dal suo popolo, ma anche da popolazioni italiche, conquistate con la forza dall'esercito dei longobardi invasori, e sottomesse alla mercè del loro arbitrio. La popolazione italica che più di tutte è stata avvinta dal carisma di Teodolinda, è stata quella brianzola, e in particolare Monza, che in particolari momenti della sua storia, aveva pensato perfino ad una sua santificazione.</div>
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<em>Teodolinda, figlia di Garibaldo, duca di Baviera, re dei Bavari, entra nelle cronache alto medioevali, tanto spesso tragiche e sanguinose, nei panni di una principessa da favola. Già quando Paolo Diacono, ascoltando la poesia orale del suo popolo, trascrisse sulla pergamena tradizioni e leggende, sottolineò come la regina, con il suo operato, fosse benvoluta sia dal popolo sia dai grandi di quell'epoca</em>.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdtIUoyxFIsM0aCpEVr2sxFTi9UnYhbi3O9_pexnhhvgHhknPfFpx2MI9caP6mTkhCAJlczVLm2H9ZFKQF5g3kymTEA7VfT4tAr_3GuIFlW1T3FXbd0Qc1TjL4G0UL5H0ITxoFtrsHynq7/s1600-h/nozze_di_teodolinda.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5336143867695554882" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdtIUoyxFIsM0aCpEVr2sxFTi9UnYhbi3O9_pexnhhvgHhknPfFpx2MI9caP6mTkhCAJlczVLm2H9ZFKQF5g3kymTEA7VfT4tAr_3GuIFlW1T3FXbd0Qc1TjL4G0UL5H0ITxoFtrsHynq7/s320/nozze_di_teodolinda.jpg" style="float: right; height: 320px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 314px;" /></a><br />
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Il merito di Teodolinda fu quello di spianare la strada all'integrazione fra <strong>Longobardi e Romani</strong>, poichè attraverso coraggiose scelte di carattere religioso, portò pace e benessere alle terre da lei governate. La pace tra Longobardi e l'Impero Romano fu un impegno costante che venne benevolmente accolto anche attraverso contatti epistolari con Gregorio Magno. La sua collaborazione con il Papa non si svolse solo sul piano religioso, ma anche su quello politico. I loro sforzi congiunti favorirono un accordo che garantì una pace decennale nel VII secolo. Gregorio serbò riconoscenza alla regina per il suo impegno sociale e politico, e le inviò numerosi doni per suggellare il rispetto e l'amicizia.<br />
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Il popolo, colpito dalla straordinaria figura della regina, celebrò attraverso racconti e leggende la potenza e la bellezza di questa affascinante sovrana Longobarda.<br />
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Eccellente cavallerizza, era giunta a Verona col suo sfarzoso seguito e il 15 maggio 589, e nel campo di Sardi, presso Verona, dov'era schierato l'esercito longobardo, avvennero le nozze tra Teodolinda e il re longobardo Autari.</div>
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A Pavia, conquistata anni prima da Alboino, e scelta quale capitale del Regno Longobardo, giunse Teodolinda, forse nella stessa estate di quell'anno 589. Ma essendo abituata al clima più fresco e temperato della sua Baviera, si trovò forse impacciata al clima estivo di Pavia, caratterizzato da elevata umidità, essendo Pavia nel basso della Pianura Padana lombarda e proprio a ridosso del fiume Ticino.<br />
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All: <a href="http://untourperpavia.blogspot.com/"><span style="color: #473624;">http://untourperpavia.blogspot.com/</span></a> Fu forse per la torridezza del suo clima estivo, che, durante il suo periodo di reggenza, Teodolinda fece spostare la capitale da Pavia a Milano, creando poi a Monza la residenza estiva, dove il clima è indubbiamente ancora migliore.<br />
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E al nome moderno della città di Monza (<strong>Modicia</strong> per gli antichi Romani) è legata una delle leggende più diffuse, create intorno la figura di Teodolinda. Ne circolano di varie versioni, che si differenziano solo per la località di partenza da cui Teodolinda iniziò la famosa passeggiata a cavallo, che poi la stancò, facendola assopire e quindi sognare.<br />
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Già il fatto che il luogo di partenza della passeggiata a cavallo sia diverso tra le varie versioni, la dice lunga sul valore storico delle leggende, ma insegna anche che la Regina aveva saputo circondarsi di un tale affetto dalle sue popolazioni che andava spesso a visitare in groppa al suo cavallo, tanto da diventare poi per loro un mito. Si può pertanto affermare che ogni borgo, ogni paese della Brianza abbia una leggenda che la lega inestricabilmente al suo mito.La leggenda<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnG2_paUHpEqJ4yuvNtYGSHWU6jOQ-rB9wUFDx5Q7sr-aG0e7I0o-Cn582qDo0AsQ9CCy47uZ94d0NBRQpw_NG8Kw3rsCTylseLjX05ctLNIz8xZIPTZb_kvIYwUoNrkFMiWRfcAeL-UWv/s1600-h/partenza_di_teodolinda_-_sogno.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5336143389180458130" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnG2_paUHpEqJ4yuvNtYGSHWU6jOQ-rB9wUFDx5Q7sr-aG0e7I0o-Cn582qDo0AsQ9CCy47uZ94d0NBRQpw_NG8Kw3rsCTylseLjX05ctLNIz8xZIPTZb_kvIYwUoNrkFMiWRfcAeL-UWv/s320/partenza_di_teodolinda_-_sogno.jpg" style="float: left; height: 160px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 320px;" /></a> del nome dato a Monza, narra che <br />
<em>"Teodolinda si era da poco convertita al cattolicesimo e una notte, in sogno, le apparve il Salvatore che le disse di costruire una chiesa nel luogo dove le sarebbe apparsa una colomba. Teodolinda si svegliò e decise che avrebbe seguito il consiglio avuto nella notte. Un giorno, uscendo dal castello di Pavia, andò a caccia nel territorio di Monza e, mentre cavalcava nella foresta, stanca, si fermò a riposare lungo le rive del Lambro, all'ombra di un albero. Appena addormentata, in<strong> </strong></em><strong>sogno</strong><em>, le apparve la bianca colomba che si fermò poco lontano da lei, indicandole dove avrebbe dovuto costruire l'edificio religioso".</em> <br />
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Nella cappella all'interno del <strong>Duomo di Monza</strong><em> </em>(<em>nella foto a destra</em>), sono affrescate quarantacinque scene della vita della regina Teodolinda e tra queste vi è quella riguardante questo sogno. Il pittore, descrivendo questa scena, ha realizzato la figura della regina e l'immagine della colomba con le parole che vennero pronunciate dai rispettivi personaggi che sono: <em>Modo</em> (qui) ed<em> Etiam</em> (si). Dalle due parole pronunciate dalla colomba e dalla regina si formò il nome di <strong>Modoetia</strong> (Monza)." (*)Il personale interessamento alla figura della regina Teodolinda, risale al tempo della mia giovinezza, quando sentivo raccontare ciò che ancora rimaneva delle antiche leggende sulla chiesetta romanica-medievale di Sant'Eusebio, a Cinisello Balsamo, incentrate tutte intorno la figura della mitica regina longobarda. L'interesse si è riacceso più tardi quando, nella Storia di <strong>Nova Milanese</strong>, mi sono imbattuto in due leggende: quella più conosciuta, riguardante la "Strada della Regina" (**), che passa per Nova, e, quella meno nota, sulla chiesetta dell'Assunta, di Grugnotorto, frazione di Nova Milanese, che la leggenda vuole sia stata voluta dalla regina Teodolinda (**). <br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3kc1ptpnYozlGkRCH1BQYm32Lu7gahhaKKijjBHDU2ZzIoebBQB3izv8q0Dd0tbC3xIZpF6ipogNTwd_QVRzW41BqSdgUTEV3P0jHuo4luyIRB3hwUOuhFf-ZnBLz0lnbTlyAYaYjl0wP/s1600-h/duomo_di_monza.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5336146266732909890" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3kc1ptpnYozlGkRCH1BQYm32Lu7gahhaKKijjBHDU2ZzIoebBQB3izv8q0Dd0tbC3xIZpF6ipogNTwd_QVRzW41BqSdgUTEV3P0jHuo4luyIRB3hwUOuhFf-ZnBLz0lnbTlyAYaYjl0wP/s320/duomo_di_monza.jpg" style="float: right; height: 320px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 213px;" /></a><br />
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<strong>Bibliografia</strong>: In Brianza sulle tracce di Celti e Romani (Donatella Mazza); Teodolinda regina dei Longobardi (Antonello Marieni) (*); Teodolinda la Longobarda (Alberto Magnani - Yolanda Godoy); Storia di Nova (Massimo Banfi - Angelo Baldo) (**). A dimostrazione del fatto che a Monza e Brianza l'interesse per la regina Teodolinda è più vivo che mai, domani, 16 maggio, in occasione della kermesse annuale regionale "Fai il pieno di cultura", a Palazzo Borromeo di Cesano Maderno verrà presentato un nuovo libro dall'emblematrico titolo: "Teodolinda il senso della meraviglia".<br />
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marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-62393704202124250022013-01-29T21:11:00.001+01:002013-01-29T21:11:29.912+01:00Marco D'Aviano e la battaglia di Vienna<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqK_o0Dw-flL1M_8hJ9zmaSlz8uTs6ts5v3ue-WMnUXWmmSiaeyAvmt5nQut6hu3CZPPPpd043RA0Qw8ISHsZRNBPJYJ4PCbfvwu6T897Sfgszk5EcgrW12ZsMovVkuUL8s6r6eEDQwC9i/s1600-h/padre+marco.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5395388435094385778" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqK_o0Dw-flL1M_8hJ9zmaSlz8uTs6ts5v3ue-WMnUXWmmSiaeyAvmt5nQut6hu3CZPPPpd043RA0Qw8ISHsZRNBPJYJ4PCbfvwu6T897Sfgszk5EcgrW12ZsMovVkuUL8s6r6eEDQwC9i/s320/padre+marco.jpg" style="float: left; height: 320px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 130px;" /></a>Il suo <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Barbarossa_(film_2009">Barbarossa </a>è nelle sale, e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Renzo_Martinelli">Renzo Martinelli </a>è già da tempo impegnato alla preparazione del suo prossimo film:<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_d"> Marco d'Aviano </a>. Dovrebbe essere un film ancor più spettacolare del Barbarossa; infatti, se in questo ha dovuto ricostruire la Milano del XII secolo, nel Marco d'Aviano dovrà ricostruire la Vienna di fine '600. A rendere colossale il film, poi, ci dovrebbe essere la scena principale, la quale dovrebbe riguardare l'assedio di Vienna, iniziato il 12 luglio 1683 con l'arrivo delle prime avanguardie turche nei sobborghi di Vienna. La consistenza dell'esercito turco, al completo, è stata variamente valutata in 200.000 - 300.000 uomini, ma è più verosimile fossero all'incirca 140.000. Ammettendo per buono questo dato, sarebbero comunque stati il doppio rispetto alla coalizione formata da forze austriache, sveve, bavaresi, sassone, francone assommanti a 70.000 uomini, di cui 30.000, ben addestrati, provenivano dalla sola Polonia, comandati da re Giovanni Sobieski. I preparativi per la battaglia furono intrapresi la sera dell'11 settembre; l'indomani, domenica 12 settembre 1683, ebbe luogo quella che viene ricordata come la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Vienna">battaglia di Vienna </a>; una battaglia dal cui esito sarebbe dipeso il futuro corso della storia europea. In caso di vittoria ottomana, infatti, l'Europa sarebbe stata islamizzata di forza. E secondo il terribile progetto del gran visir Kara Mustafà, progetto che in Europa si credeva o si pensava di conoscere, questi aveva in mente di "espugnare Vienna e Praga, frantumare le forze di Luigi XIV sul Reno, e marciare su Roma per fare di San Pietro le scuderie del sultano".</div>
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Con un impiego di forze di quella proporzione, Vienna - assediata e parzialmente svuotata da suoi abitanti, datisi a precipitosa fuga nell'imminenza del pericolo - secondo quel progetto turco, sarebbe dovuta capitolare in pochi giorni. Invece resistette ad oltranza, dando così modo alla coalizione amica di organizzare gli aiuti. I viennesi sentivano che la posta in gioco era troppo grande: Vienna era considerata l'ultimo baluardo contro l'avanzata irrefrenabile dell'islam, che era culminata nel 1453 con la conquista di<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_bizantino"> Costantinopoli </a>(ora Istanbul) da parte dei turchi ottomani; impresa che aveva posto fine all'Impero Romano d'Oriente, o Impero Bizantino.</div>
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Il regista dovrà anche saper rappresentare il terrore patito dal popolo viennese durante i tremendi due mesi dell'assedio: "i bastioni non erano fortificati e muniti, i cannoni scarseggiavano, mentre dall'alto delle mura gli assediati potevano vedere le tende mussulmane che si stendevano a perdita d'occhio nei dintorni". Il terrore dei viennesi veniva anche alimentato dai racconti di quanto avvenuto 112 anni prima, nel 1571, nell'isola di Cipro, presa ai veneziani dall'assalto dei turchi. Era successo un fatto terrificante, di bestialità e crudeltà inaudita, oggi minimizzato e quasi trascurato dalla storia; una storia di cui rimando la lettura attraverso Wikipedia, riguardante l'<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Assedio_di_Famagosta">assedio di Famagosta </a>e l'orribile assassinio del suo Capitano Generale<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Marcantonio_Bragadin"> Marcantonio Bragadin </a>, nonchè Governatore di Cipro (il fatto è descritto molto bene nel libro di Catherwood Christopher, "La follia di Churchill, l'invenzione dell'Iraq". Questi, con dovizia di particolari, ha descritto le atrocità compiute dai turchi ottomani che occuparono l'isola, e l'orribile fine cui fu sottoposta la numerosa scorta di Bragadin, andata là con lui in pompa magna, come fossero andati ad una festa, per firmare la resa e consegnare le chiavi della città. Erano completamente disarmati, in segno di pace). Tale fatto dovrebbe essere ricordato nel futuro film di Martinelli su Marco d'Aviano, per far capire agli spettatori la ragione di così grande paura nei confronti dei turchi ottomani. Famagosta, dopo 22 anni di ininterrotto assedio - forse il più lungo della storia - dovette capitolare, per stenti e fame; nè i residenti potettero contare su aiuti di esterni, o della madre patria Venezia, perchè impegnati nei preparativi per quella che sarebbe poi stata la battaglia che tanto ha influito sul successivo corso della storia: la<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Lepanto_(1571"> battaglia di Lepanto </a>, avvenuta il 7 ottobre 1571.</div>
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A padre Marco d'Aviano andrebbe riconosciuto il merito maggiore per la vittoria delle forze cristiane su quelle islamiche nello scontro decisivo di Vienna; lo si può intuire anche leggendo la sua biografia, unita agli atti per il processo di canonizzazione <a href="http://www.padremarco.it/biografia.html">( biografia di padre Marco d'Aviano ) </a>. Eppure, nelle enciclopedie, nei libri di storia delle scuole superiori, almeno quelli più retrodatati, Marco d'Aviano non viene nemmeno citato. Completamente trascurato. Ne è riprova il fatto che, chiedendo in giro chi sia Marco d'Aviano, pochi o nessuno saprà rispondere; dovrebbe essere almeno conosciuto in Polonia e in Austria, sua patria adottiva, e soprattutto a Vienna, dove è sepolto, vicino ai reali d'Austria. Una rivalutazione, una riscoperta del beato, da quelle parti, pare sia però avvenuta solo di recente; prima, sembra sia stato dimenticato anche là. Infatti, quando nel 1883 "si celebrò solennemente il secondo centenario della liberazione di Vienna, nei discorsi e nelle commemorazioni di circostanza non ci si ricordò nemmeno di un certo padre Marco d'Aviano, il quale era stato, vedi combinazione! - una delle cause determinanti della grande vittoria che aveva salvato Vienna, l'impero, l'Europa. Dato il tempo e il luogo, non si può certo dire che si trattasse di un silenzio casuale". E sarà forse stato anche per la probabile venerazione di cui dovrebbe godere in Polonia, che papa Wojtyla, il papa polacco, prima di morire, ha voluto beatificarlo, domenica 27 aprile 2003, chiudendo il lungo<a href="http://www.vicariatusurbis.org/Beatificazione/italiano/LaCausa/NaturaENorme.asp?ID=11"> processo di beatificazione e canonizzazione </a>. Durato 300 anni, era iniziato nel 1703, dopo appena 4 anni dalla morte di padre Marco d'Aviano (<a href="http://www.padremarco.it/index.html">beatificazione di padre Marco d'Aviano</a>).</div>
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Marco d'Aviano, una vita da santo eroico, tutta spesa per la conservazione dell'indipendenza politica e religiosa dell'Europa dall'invadenza islamica turca ottomana. Santa, la prima parte della vita, anche per i miracoli documentati, che gli sono stati attribuiti; defatigante la seconda, per i numerosi viaggi - molto disagevoli per quell'epoca - compiuti per raggiungere le corti d'Europa, ove era molto richiesta la presenza di un frate già in odore di santità; santa ed eroica la terza ed ultima parte della vita, per la sua onnipresenza sui campi di battaglia, da Vienna, Buda, Belgrado, per sostenere e incoraggiare i soldati, spronandoli a combattere eroicamente per la salvezza del cristianesimo, e, con esso, dell'Europa.</div>
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Post correlati: <a href="http://alloggibarbaria.blogspot.com/2008/11/marcantonio-bragadin.html">Marcantonio Bragadin </a>, <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/2009/10/marco-daviano.html">Marco d'Aviano </a>, <a href="http://sarcastycon3.wordpress.com/2009/10/18/il-sacro-militare-ordine-di-s-stefano/">Cavalieri di santo Stefano </a><br />
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<strong>Dal Diario del 22 ottobre 2009</strong></div>
marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-13082103680695153562013-01-27T18:08:00.001+01:002013-02-02T17:45:52.930+01:00Bianca Maria Visconti<div align="justify">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMTun7nV7lA4lIsHjq70RhfoLaip5hTV7EmX8EqnUZeuHe_0nupmYPboawAMm3IzN6_iy_wOCapiPC0ygRYaG0FCP8LORY-_ljlB94x-ld0YlcJTgfSxoB44eNYDHFpNM3knfMxBtc3gBc/s1600/bianca+e+francesco+sforza.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5550975727365226354" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMTun7nV7lA4lIsHjq70RhfoLaip5hTV7EmX8EqnUZeuHe_0nupmYPboawAMm3IzN6_iy_wOCapiPC0ygRYaG0FCP8LORY-_ljlB94x-ld0YlcJTgfSxoB44eNYDHFpNM3knfMxBtc3gBc/s320/bianca+e+francesco+sforza.jpg" style="display: block; height: 186px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 270px;" /></a>La mattina del 25 ottobre 1441, lungo la strada che conduce alla <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Sigismondo_(Cremona">Chiesa di San Sigismondo</a>, nella periferia di <strong>Cremona,</strong> l'intera popolazione si era accalcata lungo le strade per festeggiare il passaggio del corteo nuziale. Per questioni di sicurezza lo sposo, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Sforza">Francesco Sforza</a>, aveva scelto quella chiesa di periferia, anziché il più prestigioso <a href="http://www.google.it/images?hl=it&expIds=25657,27905&xhr=t&q=duomo+di+cremona&cp=11&rlz=1R2SVEA_it&wrapid=tljp1292364207878020&um=1&ie=UTF-8&source=univ&ei=tukHTdPMNovOswbVnsyjDg&sa=X&oi=image_result_group&ct=title&resnum=1&sqi=2&ved=0CCkQsAQwAA&biw=1345&bih=503">Duomo di Cremona</a>. Doveva inanellare <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bianca_Maria_Visconti">Bianca Maria Visconti</a>, sua promessa sposa da ormai 12 anni.<br />
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Il divario d'età fra gli sposi, 40 anni lui, 17 lei, aveva messo in serio dubbio, tra i malevoli e gl'invidiosi, la tenuta di quell'unione. Invece, a loro dispetto, fu un'unione duratura e felice, confortata dalla presenza di otto figli.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwotNmas3StO-laV6IMN6HIwbwtnLo2snwcGbCfjSufiPBBIw28nHcEL_061VeiKOz3mMeaM2cD9LZdY3j4vP89BuntiQHin5rpOxX_iabDyJWFy1QJoxjDl_qze3t44nuidvmxM6yiTIn/s1600/chiesa+di+san+sigismondo.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5551976154225829170" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwotNmas3StO-laV6IMN6HIwbwtnLo2snwcGbCfjSufiPBBIw28nHcEL_061VeiKOz3mMeaM2cD9LZdY3j4vP89BuntiQHin5rpOxX_iabDyJWFy1QJoxjDl_qze3t44nuidvmxM6yiTIn/s320/chiesa+di+san+sigismondo.jpg" style="float: left; height: 150px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 242px;" /></a>Bianca Maria era l'unica figlia legittima di Filippo Maria Visconti, la sola, quindi, che avrebbe avuto il diritto di succedere al trono. Senonché, per via d'un testamento lasciato dal bisnonno, ma non più ritrovato, il regno sarebbe dovuto passare di padre in figlio, ma solo per via maschile. Francesco era figlio naturale di <strong>Jacopo degli Attendoli,</strong> uno dei più celebri capitani di ventura italiani, che si era meritato il soprannome di <strong>Sforza </strong>dal suo maestro d'armi, per la tenace resistenza. Il Visconti, non riuscendo ad avere figli maschi legittimi, e poiché il trono si sarebbe potuto tramandare solo per linea maschile, aveva pensato bene di adottare Francesco, facendogli poi sposare sua figlia. Gliela promise così in sposa quando lei aveva ancora solo cinque anni, mentre lui era<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjH3nUedrsRhKHJ7szivB1YmauXpvYSrpnzQZdiwsRzPsKAavMmCBpssyrw2k_sg39Q9Dnbf3mJ8ACufPnDHPphiFXAGnv8gI-3s8fzC3vacC-6uYJcMboffikoEUyxKd96oyIXv11YQd4s/s1600/castello+di+abbiategrasso.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5551397423097492610" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjH3nUedrsRhKHJ7szivB1YmauXpvYSrpnzQZdiwsRzPsKAavMmCBpssyrw2k_sg39Q9Dnbf3mJ8ACufPnDHPphiFXAGnv8gI-3s8fzC3vacC-6uYJcMboffikoEUyxKd96oyIXv11YQd4s/s320/castello+di+abbiategrasso.jpg" style="float: right; height: 195px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 258px;" /></a> già uomo maturo di ventotto anni. In attesa che la figlia crescendo fosse stata pronta per il matrimonio, pensò bene di relegare lei e la madre, sua moglie, nel castello di Abbiate (la futura Abbiategrasso); questo era considerato più sicuro, rispetto la rocca milanese, e pressoché inespugnabile dai soventi attacchi del popolo, provocati da una sua politica spesso vessatoria. Il Castello di Milano, conosciuto all'epoca come Rocca di Porta Giovia, era stato costruito dal nonno di Filippo Maria, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Galeazzo_II_Visconti">Galeazzo II Visconti</a>, negli anni 1358 - 1368; La ricostruzione operata da Francesco Sforza dopo il 1450, in seguito alla devastazione operata dal popolo nel 1447, subito dopo la <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/2010/12/larte-del-governare.html">morte di Filippo Maria Visconti</a>, lo ha portata ad essere quello che è universalmente conosciuto col roboante nome di<span style="color: #cc0000;"> </span><a href="http://www.milanocastello.it/intro.html"><span style="color: #cc0000;">CASTELLO SFORZESCO</span></a>. Per inciso, Galeazzo II è anche colui a cui si devono la costruzione di due opere simbolo di Pavia: il <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/2007/12/le-tipografie-di-pavia-3.html">Castello Visconteo</a> e l' <a href="http://untourperpavia.blogspot.com/2007/06/universit-degli-studi-di-pavia.html">Università </a><a href="http://untourperpavia.blogspot.com/2007/06/universit-degli-studi-di-pavia.html">degli Studi</a>.<br />
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Ma poiché il Duca considerava il Castello di Abbiate non molto sicuro, e poco confortevole, decise di farlo rinforzare, facendo anche allestire delle stanze che fossero state degne di accogliere la sua figlioletta, in compagnia della sua consorte. Quando il tutto fu pronto, avvenne il fidanzamento per procura tra Bianca di sette anni e Francesco di trenta, e le due donne partirono per il castello di Abbiate. I fidanzati non si erano visti né conosciuti, e né si vedranno fino al giorno del matrimonio, che avverrà quando lei avrà compiuto 17 anni, l'età minima ritenuta conveniente per un matrimonio regale.<br />
<br />
La figlia visse così i dieci anni di trepida attesa, racchiusa tra possenti mura, sognando il suo bel principe azzurro. Venne così il giorno fatidico del pronunciamento. L'umanista Marco Antonio Coccio, soprannominato <a href="http://www.comunedivicovaro.it/cultura/pdf/notiziario_onorisabellico.pdf...Sabellico">Sabellico</a>, che, quarant'anni dopo i fatti ebbe a narrare di quel rito nuziale, era perfino informato del discorso che Francesco fece alla fidanzata: "<em>Confesso d'essere entrato in asprissima guerra per mostrare che tutto quello che facevo era per amor vostro; certo io deliberai con animo caldo di morire non potendo acquistarvi. Non cercavo d'offendervi ma di difender me, perchè il duca non mi facesse ingiuria: ora io gli dono la pace e benché mi vediate cinto d'armi pensate d'esser mandata a un quieto et amorevolissimo sposo". </em>Parole di quel discorso e l'accenno alle armi di cui era cinto nel giorno del matrimonio, sono indicative del periodo burrascoso vissuto dallo sposo, e da tutti in generale, durante quel periodo prematrimoniale di dieci anni; un periodo burrascoso dovuto anche al carattere alquanto instabile del duca padre, che sfociava in un andirivieni continuo di promesse e rimangiamenti nel concedergli la figlia in sposa; e le armi di cui era cinto sono il segno evidente che anche quel giorno, pur essendo a casa della sua promessa sposa (Cremona era il suo piccolo regno, che aveva ricevuto in dono dal padre, quando era ancora in tenera età), temendo ritorsioni e agguati da parte di eventuali sicari inviati sul posto dal futuro suocero (la scelta all'ultimo momento di quella chiesa fuori mano, per l'epoca - collocata praticamente nel mezzo di una campagna - anziché il più prestigioso Duomo, situato questo nel mezzo di una serie di viottoli, che avrebbero agevolato la fuga dei possibili sicari, rientrò in quella strategia di autodifesa personale). Comunque sia, <em>più che quelle parole di Francesco furono probabilmente la sua calda voce e il calore dell'intonazione a costituire per Bianca un messaggio inconfondibile: la storia che incominciava tra loro, sarebbe st<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjg0mI-zTS-5d6rLUupS1zKomy2BSS8BQg7lJhdHXsJ9wT1Xb2mUtVCcKkdSK2QSnOcwdv_p1dhbsBOP0rlUzMBfsK644baE9bCq8pIZthpYCCI9JQSP2eJuv6hj_G5xUopkQa8aBclDsxc/s1600/duomo+e+torrazzo.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5552013951880893458" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjg0mI-zTS-5d6rLUupS1zKomy2BSS8BQg7lJhdHXsJ9wT1Xb2mUtVCcKkdSK2QSnOcwdv_p1dhbsBOP0rlUzMBfsK644baE9bCq8pIZthpYCCI9JQSP2eJuv6hj_G5xUopkQa8aBclDsxc/s320/duomo+e+torrazzo.jpg" style="float: right; height: 260px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 194px;" /></a>ata una storia d'amore.</em><br />
Seguì la cerimonia, narrata con enfasi dai cronisti dell'epoca. La sposa, vestita di rosso, colore nuziale e anche colore zodiacale, per i nati sotto il segno dell'Ariete, come lei, era giunta a cavallo di un destriero bianco dalla gualdrappa dorata. Lo sposo, secondo lo storico <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Simonetta">Giovanni Simonetta</a>, autore della <em>Sforziade, </em>testimonia che Francesco fece il tragitto che lo condusse alla chiesa, preceduto da <strong>duemila cavalieri <em>in squadre molto ornate d'oro e d'argento, tutte formate da capitani, condottieri e capisquadra.</em></strong><br />
<br />
Dopo la cerimonia iniziarono i festeggiamenti, culminanti nel sontuoso banchetto nuziale. Invitati d'alto lignaggio, recanti ricchi doni, erano giunti da ogni parte della Penisola. Verso la fine del banchetto, per la prima volta nella storia, in onore della coppia regale era stato portato in tavola un dolce dal gusto squisitamente nuovo, che il popolo all'unisono si era arrovellato nell'ideare. Fu confezionato con la forma della celebre torre campanaria di Cremona, il Torrazzo: <strong>nasceva il Torrone</strong>.<br />
<br />
Fin qui la storia; da qui si dipana il seguito frammistandola con un poco di fantasia personale.<br />
<br />
E mi piace immaginare che in quel banchetto furono servite anche altre specialità, divenute poi un classico dell'<strong>arte culinaria cremonese: </strong>il <a href="http://www.salamecremona.it/"><strong>Salame di Cremona</strong></a> e la<strong> </strong><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Sbrisolona"><strong>Sbrisolona</strong></a><strong>. </strong>Quasi sicuramente fu<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicY75w3OxQxC4wIE5nxb2OnwxQ9RLp_Yx36KHSXdC3288MTxTcEbTgbRKMQuUEdumJbJtDxqq5vyJIJr8BbILFNvX6D-rRhK4xhIjCaOjTKoACKnv0wjWovgmKc4tOxvHVVcYr9oxiVwg8/s1600/mostarda+dondi.gif"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5551968365548614274" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicY75w3OxQxC4wIE5nxb2OnwxQ9RLp_Yx36KHSXdC3288MTxTcEbTgbRKMQuUEdumJbJtDxqq5vyJIJr8BbILFNvX6D-rRhK4xhIjCaOjTKoACKnv0wjWovgmKc4tOxvHVVcYr9oxiVwg8/s200/mostarda+dondi.gif" style="float: left; height: 200px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 153px;" /></a> invece portata in tavola la già classica<strong> </strong><a href="http://ricette.giallozafferano.it/Mostarda-di-Cremona.html"><strong>Mostarda di Cremona</strong></a><strong>,</strong> conosciuta in quel momento da ormai quasi due secoli. L'avevano infatti messa a punto i monaci del XIII secolo, disseminati nei monasteri, allora numerosi nelle campagne lombarde. Cercando il modo per conservare più a lungo possibile la frutta estiva, ne avevano sapientemente messo a punto la ricetta originale. E così da quegli albori, ciliege, pesche, albicocche, pere, fichi, meloni, ecc., anche se il loro gusto viene coperto, quasi nascosto, dal forte e piccante sapore della senape, si potettero gustare anche per tutto il resto dell'anno.<br />
<br />
Di certo, e qui per inciso, va ricordato che Bianca Maria Visconti Sforza è stata benevolmente ricordata molto a lungo nella memoria dei cremonesi.<br />
<br />
Al termine del banchetto iniziarono balli, gare, sfide, tornei che si protrassero per giorni e giorni, e rimaste impresse nella memoria popolare. La gente, dopo anni e anni di battaglie, di cui erano state teatri quelle campagne, aveva voglia di dimenticare, divertendosi. I ricordi lasciati da quella festa ebbero un tale potere mnemonico che ancora generazioni dopo un cr<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeXaBeCD3BpXIOO3MGfTjE5zR_ISVrRsubVvNdMF7FrubVgPbrVI7i97MZry6vhY2TbAJLYp4eATE8_JNauG9sLzfQurPtWRrutMPCKfMAS_qtbDZjc1_h-mlENRLB7opOyg0aGmg3n4wC/s1600/cremona_torrone_festa_prog1s.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5551989685642145330" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeXaBeCD3BpXIOO3MGfTjE5zR_ISVrRsubVvNdMF7FrubVgPbrVI7i97MZry6vhY2TbAJLYp4eATE8_JNauG9sLzfQurPtWRrutMPCKfMAS_qtbDZjc1_h-mlENRLB7opOyg0aGmg3n4wC/s200/cremona_torrone_festa_prog1s.jpg" style="float: right; height: 139px; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 200px;" /></a>onista lodigiano ebbe a scrivere: "<em>Fuori Cremona si ballava ... il conte Francesco l'aveva per mano e fu fatta allora quella canzone che dice "Quando per la mano fu presa sotto Cremona" e "Come la bala ben". </em>Un viandante che avesse girovagato per quei paesi e per quelle campagne nei decenni, e forse secoli successivi, le avrebbe sicuramente sentite<strong> </strong>canticchiare dai lavoranti delle costruzioni e della terra. Per rievocare quei giorni di festa, da qualche anno, nella seconda metà di novembre, a Cremona si svolge la<strong> </strong><a href="http://www.isolatua.it/2010/11/in-festa-il-torrone-di-cremona-un-dolce-che-va-a-nozze/"><strong>Festa del Torrone</strong></a><strong>.</strong>Ed ora, nell'augurarvi un buon Natale, vi sottoporrei gentilmente ad un quiz. Si tratterebbe d'individuare l'autore e il luogo dove è conservato il quadro qui sotto. E' un'immagine natalizia, con Madonna e Gesù Bambino che ricevono la visita di qualcuno. Il quiz è stato sottoposto al gruppo degli universitari del tempo libero, nostri lettori. Si sono rivolti a me, sperando li possa aiutare. Qualcuno mi potrebbe suggerire le risposte?<strong> <img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5551767872704293266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSMqcrbXlm_BPwVn1bx_sPXZ0impvKf2Ww4wRJbhA-cR4s6aNOqmnkymdeFAdCeurF9itfi57E1vOgoid_S2QwwKc8J5mCaE_LUruJbFlhbOJ2R_6rAn1OpfSk1rC6oPIQQMFXRuLk6j4I/s400/adorazione_dei_pastori.jpg" style="display: block; height: 400px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 221px;" />Bibliografia: La Signora di Milano, Daniela Pizzagalli, BUR Rizzoli, Gennaio 2009</strong> </div>
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<strong></strong><br /></div>
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<strong>Immagini:</strong></div>
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<strong></strong><br /></div>
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<strong>Bianca e Francesco Sforza: tratta da Google immagini, proprietario il sito Flickr.com<br /><br />Chiesa di San Sigismondo, Cremona, dal sito: Cremonaguide.net</strong></div>
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<strong>N.B. al momento del matrimonio la chiesa era soltanto un cappella. La chiesa di San Sigismondo, così come la conosciamo oggi, fu costruita solo a partire dal 1462, su commissione di Bianca Maria Sforza Visconti.</strong></div>
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<br />
<strong>Castello di Abbiategrasso (Mi): dal sito </strong><a href="http://www.mondimedievali.net/castelli/Lombardia/milano/provincia.htm"><strong>Mondi Medievali</strong></a><strong><br /><br />Duomo e Torrazzo di Cremona: dal sito </strong><a href="http://www.tripadvisor.it/LocationPhotos-g187831-w2-Cremona_Lombardy.html"><strong>Tripadvisor.it</strong></a><strong><br /><br />Un bel barattolo di Mostarda Dondi da collezione. Non è pubblicità: regalatomi anni fa, è vuoto, e lo conservo gelosamente. Il fac simile della foto è tratta dal sito </strong><a href="http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.demaralimentari.it/images/prodotti/closeup/237.gif&imgrefurl=http://www.demaralimentari.it/prodotto/237/Mostarda_di_Cremona_piccante_Dondi_extra_extra.html&usg=__3XvE5cxb6aVhh5H0_xocFqI-IqU=&h=221&w=169&sz=29&hl=it&start=0&zoom=1&tbnid=jVJEFWDkVBn8uM:&tbnh=116&tbnw=89&prev=/images%3Fq%3Dmostarda%2Bdi%2Bcremona%26hl%3Dit%26biw%3D1362%26bih%3D503%26gbv%3D2%26tbs%3Disch:10%2C195&itbs=1&iact=hc&vpx=1027&vpy=136&dur=15818&hovh=176&hovw=135&tx=106&ty=99&ei=7YwMTarvGoTsObvYgeUI&oei=7YwMTarvGoTsObvYgeUI&esq=1&page=1&ndsp=24&ved=1t:429,r:22,s:0&biw=1362&bih=503"><strong>Demar Alimentari</strong></a><strong>.<br /><br />Cremona, Festa del Torrone, dal sito </strong><a href="http://www.marcopolo.tv/articolo/festa-del-torrone-cremona-2010-programma"><strong>Marcopolo Tv</strong></a><strong><br /><br />Ultima foto: fa parte del quiz, e non so nulla. </strong><br />
<strong></strong><br />
<strong>Post dal Diario del 20 dicembre 2010</strong><br />
<strong>Aggiornamento del 2 febbraio 2013: qui (<a href="http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/interviste/pizzagalli.html">http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/interviste/pizzagalli.html</a>) un'intervista a Daniela Pizzagalli, autrice del saggio ispiratore del post, contenente ulteriori notizie sulla figura di Bianca Maria Visconti </strong><br />
<br />
</div>
marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-54124756111897603542012-09-23T11:52:00.000+02:002012-09-23T18:19:33.447+02:00Statua a Panfilo Castaldi<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbT0yGCrX0l7GJM4Qb0IuE1RfLF4h5CSdy2FXX3CnkwgCzKnttTb9wJ5Igjjam2cGmIh78DorgjCZAAEoYX4XZuX0WXr2NVD1S2Lxo849NAVFw1l6lwF-gAbRWio_R3lsMrjU0TBcAO7SX/s1600/statua+a+panfilo+castaldi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="101" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbT0yGCrX0l7GJM4Qb0IuE1RfLF4h5CSdy2FXX3CnkwgCzKnttTb9wJ5Igjjam2cGmIh78DorgjCZAAEoYX4XZuX0WXr2NVD1S2Lxo849NAVFw1l6lwF-gAbRWio_R3lsMrjU0TBcAO7SX/s320/statua+a+panfilo+castaldi.jpg" width="320" /></a></div>
<em></em><br />
<em></em><br />
Testo integrale dal libro di Alessandro Marzo Magno: L'ALBA DEI LIBRI - Quando Venezia ha fatto leggere il mondo. Collezione storica Garzanti - pagg.28 - 29<br />
<em></em><br />
<em>...In questa ridda di successi, c'è anche spazio per il fiorire di leggende: nell'Ottocento, grazie a non meglio identificati documenti poi perduti, si contesta l'invenzione della stampa a Gutemberg per attribuirla a Panfilo Castaldi, medico e umanista, nato a Feltre, splendida cittadina cinquecentesca ai piedi delle Prealpi venete e vissuto a lungo a Capodistria e Zara (oggi rispettivamente Koper in Slovenia e Zadar in Croazia) sulle sponde dell'Adriatico (località che allora facevano parte dello stato veneziano). Castaldi per un periodo abbandona la medicina e si dedica alla stampa: dopo essersi guardato attorno e aver constatato che a Milano non c'è ancora nessuno che armeggi con torchi, punzoni e caratteri, si fa concedere un privilegio dal duca Galeazzo Maria Sforza e nel 1471 pubblica il primo libro stampato nella città lombarda. Il business è così ghiotto che tal Filippo da Lavagna sfida il regime monopolistico e impianta a Milano una nuova tipografia. A metà del 1472 Castaldi è costretto a cedere, vende le attrezzature, e torna a fare il medico in riva al mare. Fin qui la verità storica. Nell'Ottocento, per un certo numero di anni, in Italia si affermava che fosse stato lui il vero inventore della stampa a caratteri mobili e Gutemberg avesse copiato prendendosene il merito, un pò come Alexander Graham Bell ha fatto con Antonio Meucci per quanto riguarda il telefono. Solo che nel caso di Castaldi non era vero. Tuttavia, ancora oggi, sul piedistallo del monumento che gli è stato dedicato nella sua città natale</em> (<a href="http://www.minube.it/posto-preferito/statua-di-panfilo-castaldi-a177931">vedi foto, dal sito di Minube</a>), <em>gli è attribuita la paternità di un'invenzione non sua.</em><br />
<em></em><br />
Post correlato: <a href="http://www.esperidi.blogspot.it/2012/09/mastro-martino_19.html">Mastro Martino</a><br />
</div>
marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-79556282972343741432012-06-17T19:19:00.000+02:002012-06-17T19:19:08.815+02:00Rievocazione della Battaglia di Desio<div style="text-align: justify;">
</div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHI2w-MeQSjuP5En9VbmKePGhvdXHpRIBdUzaH0tGzeZhE8vc7arE0v38P7u9yz9ZTcNXfNdIw_2icsHhK4s77b-OY5sXB4C_3oEi2bIYTD7M5cOng81DFANoYnpyBR33jp6nFTsZiIZcu/s1600/palio+degli+zoccoli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHI2w-MeQSjuP5En9VbmKePGhvdXHpRIBdUzaH0tGzeZhE8vc7arE0v38P7u9yz9ZTcNXfNdIw_2icsHhK4s77b-OY5sXB4C_3oEi2bIYTD7M5cOng81DFANoYnpyBR33jp6nFTsZiIZcu/s320/palio+degli+zoccoli.jpg" width="320" /></a></div>
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<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: x-small;">Desio - Palio degli zoccoli 2012 - da </span><a href="http://www.ilcittadinomb.it/stories/Cronaca/130697/"><span style="font-size: x-small;">Il Cittadino</span></a></div>
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Per gli appassionati di storia milanese, è in corso di svolgimento, oggi a Desio, il <strong>Palio degli Zoccoli</strong>. Giunto alla 24 edizione, è la rievocazione storica della <strong>Battaglia di Desio</strong>, avvenuta il 21 gennaio 1277 sui suoi campi. Vide fronteggiarsi due eserciti, quello capeggiato dai <strong>Visconti</strong>, e quello fedele ai <strong>Torriani</strong> (vedere post <a href="http://esperidi.blogspot.it/2011/10/dinastie-millenarie.html">Dinastie millenarie</a>, e post <a href="http://esperidi.blogspot.it/2011/07/lasco-e-il-suo-territorio.html">Lasco e il suo territorio, ovvero dove ebbero origine i Della Torre</a>) .</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />La battaglia, combattuta nel mese di gennaio, viene rievocata in giugno per ovviare al problema legato al rigore invernale. E' utile infatti ricordare che le 700 comparse, suddivise per gruppi, in rappresentanza delle 11 contrade cittadine, sfilano calzando obbligatoriamente zoccoli di legno per tutto il giorno, da mattina a sera. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br />E non è per caso, se si chiama <strong>Palio degli zoccoli. </strong>Infatti, nella battaglia del 21 gennaio 1277 fu la popolazione desiana, schieratasi a favore dei Visconti a decretare l'esito a loro favore, e la popolazione desiana in quel periodo calzava zoccoli di legno in qualsiasi stagione. Da qui il nome a ricordo. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br />Non è facile calzare zoccoli ininterrottamente per un giorno intero, senza pausa: a chi non è abituato vengono le vesciche ai piedi; me l'ha confermato una comparsa di precedenti edizioni.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />Dal punto di vista storico, gli esiti della Battaglia di Desio ebbero importanza di portata epocale per la città di Milano, potendo affermare che ne tracciarono la storia. </div>marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-24419592485477174102011-01-11T17:11:00.000+01:002011-01-11T17:11:06.978+01:00Banche e banconote.<object height="385" width="480"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/MqkKvk-Wqqk?fs=1&hl=it_IT"></param><param name="allowFullScreen" value="true"></param><param name="allowscriptaccess" value="always"></param><embed src="http://www.youtube.com/v/MqkKvk-Wqqk?fs=1&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" width="480" height="385"></embed></object><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrMu_2URi8Bzvhku2zjowxQzID5_bE42FJVvfZrx7AuZZcRHgh_3d4HG1sabHktYoiXThw9HPdb0IkSFeVNjQUVo9gZzH9_dQ42DEqyk5Owv_EQRz8OYg7MKDxUGIopfgn3A1xh8DlHMk/s1600/quattropresidenti.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="214" n4="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrMu_2URi8Bzvhku2zjowxQzID5_bE42FJVvfZrx7AuZZcRHgh_3d4HG1sabHktYoiXThw9HPdb0IkSFeVNjQUVo9gZzH9_dQ42DEqyk5Owv_EQRz8OYg7MKDxUGIopfgn3A1xh8DlHMk/s320/quattropresidenti.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUWHmWbACxOU-n-LDYNVHp7a0OhUCQYmW_ZmDD_iQ16j_P1W4i-rXQjlHyeCbFrXDvW-66VVLPQ4gTdXIdkxD_A0Mj0Bfb12S9eNcAgsm00uklLFCuS-ZCNKYXnVkkY6Q7rxhFbsfD-DY/s1600/giulio_cesare.bmp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" n4="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUWHmWbACxOU-n-LDYNVHp7a0OhUCQYmW_ZmDD_iQ16j_P1W4i-rXQjlHyeCbFrXDvW-66VVLPQ4gTdXIdkxD_A0Mj0Bfb12S9eNcAgsm00uklLFCuS-ZCNKYXnVkkY6Q7rxhFbsfD-DY/s400/giulio_cesare.bmp" width="323" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfKpPJPS4OK5sDxGfkmQsvshq_3c9zpAjCPMF4BIQiNsF9cAWwSxBpRiK97OQbE-nMXDzyq6eWLR7aLefDE-pJvrIllc4VosEinVrMF5WO_UmbYRdnU05jlFAkCWH-dOo8-CEjrv8WC-w/s1600/monete2.bmp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="207" n4="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfKpPJPS4OK5sDxGfkmQsvshq_3c9zpAjCPMF4BIQiNsF9cAWwSxBpRiK97OQbE-nMXDzyq6eWLR7aLefDE-pJvrIllc4VosEinVrMF5WO_UmbYRdnU05jlFAkCWH-dOo8-CEjrv8WC-w/s320/monete2.bmp" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUYxfuqUxwaOdAIgy7YHn5sBx2c981fxvEo14Hxk0aohyphenhyphenG-iUWuk4WaWyEV_hgr6kPmoNQQxcSabguSpV_wpevdHT-MfVDNPDn5yNx3XWIPZfX8vEhlneg9tN7CmaLrnBbdesUdN0x-S8/s1600/gesumercanticaravaggio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="290" n4="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUYxfuqUxwaOdAIgy7YHn5sBx2c981fxvEo14Hxk0aohyphenhyphenG-iUWuk4WaWyEV_hgr6kPmoNQQxcSabguSpV_wpevdHT-MfVDNPDn5yNx3XWIPZfX8vEhlneg9tN7CmaLrnBbdesUdN0x-S8/s320/gesumercanticaravaggio.jpg" width="320" /></a></div>aquaeductushttp://www.blogger.com/profile/01977847432854549767noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-89355759689982546092010-10-16T14:00:00.008+02:002010-10-17T11:00:54.983+02:00IL CONTE DI FUENTES<div style="text-align: justify;"><a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/"><span style="font-size: x-large;">Dal blog di Marshall</span></a><br />
<br />
<span style="font-size: x-large;">Da "Le fortificazioni del lago di Como</span><br />
<span style="font-size: x-large;">"Casa Editrice Pietro Cairoli - Como 1971</span><br />
<span style="font-size: x-large;">Libro di grande valore storico, assolutamente irreperibile e introvabile.Le pagine qui trascritte integralmente, fanno parte del capitolo relativo al saggio di Pier Amedeo Baldrati</span><br />
<span style="font-size: x-large;">"LA FORTIFICAZIONE SPAGNOLA NELL' ALTO LARIO"</span><br />
<span style="font-size: x-large;"></span><br />
<br />
<span style="font-size: x-large;">IL CONTE DI FUENTES</span><br />
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Sin dalla lontana epoca degli studi la figura e le opere di questo altoufficiale spagnolo ci affascinarono nelle narrazioni e nelle letture. Chi ce ne parlava, e così gli autori dei testi, pur non facendo astrazione dalla generica condanna storica globale del governo spagnolo in Italia, non era alieno dal riconoscere a quest’uomo un modo di sentire e di agire intelligente che lo distingueva, elevandolo, tra i suoi connazionali.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> La critica storica in genere riconosceva al Fuentes una certa stima per le sue opere in Lombardia.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Più tardi le piccole faville di interesse accese sui banchi scolastici a poco a poco alimentarono il fuoco della ricerca e ci accorgemmo che la figura del Fuentes acquistava rilievo ed importanza e che i suoi tratti caratteristici ad un certo punto si allontanavano sempre più dal clichè che usasi attribuire ai militari di carriera, per assumere i contorni netti dell’uomo di Stato e del diplomatico di alto livello.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Abbiamo voluto indagare a fondo su quest’Uomo spingendo la ricerca non solamente allo specifico campo delle armi (vedere allegato 1 al relativo capitolo del libro), ma approfondendola in quello governatoriale, a quelle branche che un diffuso modo di pensare, anche attuale, ritiene non congeniali“a’ militari”.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Ci riferiamo all’operato del Conte di Fuentes nel suo decennio di Governatorato per quanto attiene i campi amministrativo, giudiziario, edificatorio (vedere allegato 2 al capitolo del libro). Per quanto parimenti cospicua, esula dai limiti dell’argomento l’attività diplomatica che abbiamo preso in esame e la citeremo sol per quel che concerne i Grigioni, anche perché la materia è stata diffusamente trattata da altri ricercatori attenti e precisi che hanno finito per attribuire al Fuentes quello che oggi si direbbe “il massimo del punteggio e la lode”.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> In ciò si concorda a distanza di secoli in quanto la Diplomazia Veneta, sempre attenta, efficiente e precisa, definisce il Fuentes all’atto del suo arrivo a Milano “Il più grand’uomo che abbia la Spagna”.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Il Conte giunse quindi nelle nostre terre al termine di una brillante carriera militare, durante la quale aveva tenuto il comando di importanti scacchieri operativi in modo egregio. Il suo fine sentire diplomatico era già emerso durante la Campagna delle Fiandre e lo aveva fatto, agli occhi del Re di Spagna, l’ideale successore in Lombardia del non brillante Conestabile di Castiglia.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> I suoi primi atti in Italia dimostrarono come la scelta del Re fosse felice, il non impegno a sostegno del Duca di Savoia e gli ottimi rapporti con il cardinale Borromeo sono sottilmente intelligenti e gli permettono un tranquillo periodo di conoscenza e di assestamento nel nuovo incarico. Ciò gli consente di impadronirsi appieno della pur vasta materia governatoriale di indole interna e di regolamentarla, ma - quel che più conta - di instaurare la potestà di imperio nel territorio amministrato. Il Fuentes seppe appianare con molto tatto il caso della Monaca di Monza che avrebbe potuto danneggiare non poco i militari spagnoli. </span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Nei confronti dei Grigioni la sua politica fu caratterizzata dal desiderio di togliere loro il dominio sulla Valtellina e la Valchiavenna acquisendo alla Corona di Spagna questi due territori dove, tra l’altro, era stata introdotta la Riforma protestante. Nella sua cocciuta, continua ed abile azione contro le “Tre Leghe Grigie” crediamo scorgere anche il classico sciovinismo del cattolico spagnolo.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Conveniamo però con tutti gli autori precedenti che al Fuentes si deve l’italianità delle due Valli ed alle sue opere fortificate (in massime al Forte con il suo nome) il mancato ingrandimento del dominio svizzero in Italia.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Verità vuole che al Conte fossero mosse accuse di indole amministrativa e che i coevi non concordino sulla bontà della sua politica; con altrettanta verità dobbiamo però annotare che alla moderna critica storica queste accuse non hanno retto. </span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Buon per l’Italia che “Il Re comandi a Madrid ed io a Milano” (come soleva dire il Conte): se così non fosse stato, i cippi confinanti sarebbero oggigiorno ben più a sud degli attuali.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> </span><span style="font-size: x-large;">Il Conte di Fuentes, all’inizio del suo governo, trovò una situazione non lieta alla frontiera nord dello Stato. Gli accordi in via di perfezionamento tra i Grigioni e la Francia soffocavano la Lombardia, prevedendo il passaggio di truppe francesi dirette in Valtellina. Per ben tre anni con oro, blandizie e ambascerie il Fuentes tentò impedire ciò che paventava come esiziale ai domini del suo Re; ma quando a Coira oltreché con il Re di Francia si credette bene siglare un’alleanza anche con la Repubblica di San Marco (il cui confine non dimentichiamolo era sull’Adda) ruppe gli indugi e, inviata una violenta lettera a Grigioni, proclamò il blocco dei commerci e decise di erigere una fortezza al confine. </span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Egli ben sapeva quanta ombra dessero ai Grigioni le fortificazioni permanenti in vicinanza dei confini in quanto non doveva essergli ignoto il loro costante impegno dispiegato contro la rocca del Medeghino a Musso. A questo punto si muove tutto l’apparato statale spagnolo con una rapidità che ci stupisce. Il che sta a dimostrare gli ottimi risultati raggiunti dal Fuentes in tutti i settori dell’amministrazione, non esclusi le comunicazioni ed i trasporti. Nell’esame delle circostanze successive teniamo ben presente che la lettera ai Grigioni è datata 13 settembre 1603.</span><br />
<br />
<span style="font-size: x-large;">AVVENIMENTI DEL SECOLO XVII</span><br />
<br />
<span style="font-size: x-large;"> Il 17 successivo il Residente Veneto a Milano dava urgente avviso al suo Governo delle intenzioni del Conte.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Il 24 settembre giungevano in Alto Lario tre compagnie spagnole al comando del Capitano Cristobal Leuchuga sotto colore di eseguire ricognizioni per la progettata costruzione di una strada al Passo di Sant’Jorio. In realtà le ricognizioni si svolsero sulla collina del Monteggiolo sotto la direzione dell’ ingegnere militare Gabrio Busca. Il Fuentes ne dava avviso a Madrid il 10 ottobre mettendo il sovrano così davanti al fatto compiuto. I Grigioni dal canto loro ben capirono a cosa tendesse il Fuentes; infatti il 13 ottobre il Governatore della Valtellina, Sonnwig, informava Coira dell’arrivo delle truppe spagnole e dell’imminenza dell’erezione della fortezza, tanto più che si aveva notizia dell’ordine impartito dal Governatore di Como circa il caricamento di tutte le fornaci da calce del Lario da accendere solo su ordine.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Il 20 ottobre a Milano il Conte, evidentemente disponendo dei risultati delle ricognizioni, convocati quattro membri del Consiglio Segreto ed uditi il Lechuga ed il Busca, impartiva l’ordine esecutivo per la costruzione della fortezza. Di tale riunione la occhiuta diplomazia veneta dava immediato avviso alla Serenissima. Non meno attiva quella ecclesiastica informava il Vaticano da Como non appena il Governatore ordinò l’accensione dei fuochi alle fornaci. A questo punto è utile citare come l’idea di erigere una fortezza, in quel luogo e per quegli scopi, fosse stata adombrata, in un promemoria consegnato al Vaticano, da un fuoruscito Grigione, Broccardo Borroni, che parecchi autori indicano erroneamente quale progettista del forte.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Il 23 ottobre il Governatore di Como riceveva l’ordine esecutivo per l’inizio dei lavori, nel frattempo però sulla collina di Monteggiolo erano giunti l’Ingegner Busca, sette Compagnie di fanteria, due Compagnie di Guastatori, tre pezzi di artiglieria. I lavori dovevano essere protetti da palizzate provvisorie e da fascine. Anche questo non sfuggì al Residente Veneto che ne fece oggetto di rapporto dettagliato al suo Governo.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Il 24 ottobre il Governatore di Como avviava ai lavori un cospicuo carico di zappe, badili e attrezzi, nonché un rinforzo di cinquecento uomini. Il 25 ottobre sulla collina di Monteggiolo venivano effettuati i primi lavori di tracciamento, livellamento e sbancamento. Il 27 ottobre si procedeva allo scavo delle fondazioni: la forza militare presente assommava a milleduecento uomini. Rispetto alla universalmente accettata concezione di lentezza amministrativa iberica si deve convenire che, nel caso in oggetto, si verificò una lodevole eccezione dovuta sia agli ordini del Fuentes sia all’efficienza dei sottoposti militari e civili. L’organizzazione di un grande cantiere, messa in essere in appena sette giorni, considerati i tempi è un esempio di rimarchevole celerità. Che si trattasse di estrema urgenza è dimostrato dall’atto ufficiale di presa di possesso dei terreni (di proprietà della Mensa episcopale di Como) avvenuto solo il 27 ottobre a lavori già iniziati. Siamo comunque a trentaquattro giorni dall’ordine esecutivo.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Subito ebbero inizio le lamentazioni grigione in nome di antichi diritti, sanciti da trattati, ma il Fuentes le respinse traendo motivo (validissimo) dalle recenti alleanze e blandendo gli ambasciatori grigioni col dire loro che “una volta tornata la buona armonia reciproca la fortezza avrebbe servito alla comune difesa (sic)”. </span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Il 28 ottobre venne posta la prima pietra, presente il Governatore di Como in rappresentanza del Fuentes. Il 31 ottobre trincee e palizzate per la difesa vicina erano già rizzate ed all’interno di esse si vedevano i baluardi in costruzione. La forza presente era frattanto salita a otto Compagnie di Fanteria, duemila Guastatori e venti pezzi di artiglieria. Comandante il complesso lavoro-difesa il Governatore di Como, marchese Pallavicino.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Il 1° novembre la costruzione assumeva ufficialmente il nome di “Forte Fuentes” che tuttora conserva. Il 24 novembre il Governatore di Como informava il Fuentes dell’andamento dei lavori, suggerendo che era tempo di dare ordini per una guarnigione stabile e per il relativo supporto logistico. Il lavoro era ininterrotto, si procedeva per turni anc he di notte alla luce di fascine ardenti le cui fiamme dovevano apparire ben sinistre ai trecento soldati grigioni stazionati a ridosso del confine. I Grigioni frattanto non avevano smesso di intercedere presso il Fuentes per ottenere soddisfazione. Accortamente e per renderli più malleabili il Conte dava ordine di sospendere i lavori il 20 dicembre, data piuttosto comoda considerata la stagione. </span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Il marchese Pallavicino informava Milano che alla data del 6 gennaio 1604 non restavano al Forte che quaranta uomini. In sostanza il Fuentes cercava di ottenere il distacco dei Grigioni dalla Francia e da Venezia per indebolirne le forze e togliere loro la Valtellina; ma quando si rese conto delle pressioni francesi e venete sul Governo di Coira ne diede avviso il 17 febbraio a Madrid, che il successivo 8 aprile gli rispose di ultimare la costruzione del Forte (lettera Sovrana da Valladolid dell’8 aprile 1604). Con la consueta rapidità l’ 11 aprile giungevano al Forte per via d’acqua uomini, attrezzi, vettovaglie e otto pezzi di artiglieria. Il 3 maggio 1604 entrava nel Forte il secondo Comandante che, ricevute le consegne dal capitano Lechuga, accelerò i lavori attivando altre otto fornaci da calce in quel di Rezzonico e pubblicò i bandi di blocco al confine grigione. Il 6 maggio 1604 il Conte di Fuentes inviava al Re Filippo III una dettagliata relazione sul Forte unendovi piante e piani di fuoco e chiedendo altro denaro. Sentito il Consiglio di Stato, il Sovrano ordinava l’11 giugno successivo l’ ultimazione dei lavori promettendo l’invio di 200.000 scudi. Il Conte di Fuentes vide una sola volta il Forte. Ormai settantacinquenne egli si partì da Milano su un cavallo d’ordinanza avendo seco quello che oggi si direbbe un Comando Tattico ed una Casa Civile, oltre naturalmente alla scorta composta dalla prediletta Cavalleria Leggera e da Archibugieri. Il 1° novembre 1604 giunse a Como, dove espresse il suo malcontento circa lo stato delle truppe ivi stanziate perché trovate alla rassegna scarse di cavalleggeri. Per via d’acqua proseguì per Bellagio giungendo il 3 novembre a Gravedona da dove, in barca e con sole tre persone al seguito, pervenne al Forte la sera.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Questo sistema di ispezioni-lampo lumeggia i tratti etico-professionali caratterizzanti il vecchio ed esperto ufficiale, ed accresce la nostra simpatia per la sua memoria. Per la notte egli, rappresentante del Re di Spagna, non chiese che un letto da soldato e dormì in una casamatta ricusando un alloggio migliore. Il giorno successivo visitò minutamente il Forte che trovò in ordine, e se ne compiacque con il comandante, si recò poi alla foce Mera, alla bocca d’Adda (5 novembre) a San Fedelino e lasciò intendere d’aver in animo l’erezione di altra fortezza di fronte a Chiavenna. Dopo aver pernottato a Gravedona, il 6 novembre il Conte si trasferiva per via d’acqua a Soncino, lasciando ordini per la costruzione di una strada sulla sponda occidentale del lago di Como. Per inciso diremo che la visita a Soncino aveva per oggetto la costruzione di quella fortezza. Per tutto l’anno e nel successivo 1605 i Grigioni si barcamenarono tra la Francia, Venezia e la Spagna sinchè il Fuentes ruppe bruscamente i negoziati. Ma ormai la fortezza era completata. Nel 1608 il Fuentes ordinava la costruzione di un’opera accessoria ed il completamento dei quartieri all’interno del Forte. Con ciò veniva distrutta l’ antica Torre di Olonio, i cui materiali furono impiegati per erigere il Fortino d’Adda. La fortezza, con il suo sistema contiguo, era ormai una realtà efficiente e ben poteva disimpegnare i suoi compiti. E’ il caso di esaminare, sia pure brevemente, il Forte nel dettaglio. </span><br />
<span style="font-size: x-large;">Le condizioni attuali sono definibili “ruine” (n.d.r. questo saggio è stato scritto per un convegno nel maggio 1970) e tali risultano nella cartografia di guerra angloamericana dell’ultimo conflitto. Con l’aiuto però di descrizioni antiche cercheremo di dare un’idea di quel che furono le costruzioni del Forte. Costruzione bastionata con muraglioni continui (può darsi merlati) in pietra di estrazione locale. Legamento in malta di calce e sabbia fluviale che a causa del pietrame usato appare piuttosto grasso e ancor oggi ben resistente. Pianta generale grossomodo trapezoidale con la base più lunga parallela all’attuale sede ferroviaria. I bastioni seguono l’andamento del terreno con speroni sui dorsi e cortine nelle incisioni. Sulle testate due tenaglie: quella a sud più ampia con porta e ponte elevatoio e due corpi di guardia, quella a nord chiusa ma dotata di sortita. Contromuri esterni bastionati sulla testata nord e lungo la base minore del trapezio nonché su una porzione del tratto nord- ovest.</span><br />
<span style="font-size: x-large;">Accessi:</span><br />
<span style="font-size: x-large;">- sentiero dall’attuale sede ferroviaria; </span><br />
<span style="font-size: x-large;">- passo carraio dalle case di Monteggiolo.</span><br />
<span style="font-size: x-large;">Rifornimento idrico: cisterne a sezione tonda e rivestimento in malta in numero di cinque, scavo (presumibilmente tentando di raggiungere l’acqua a livello del Piano) molto profondo e non rivestito presso la cannoniera moderna.</span><br />
<span style="font-size: x-large;">I quartieri avevano andamento longitudinale e comprendevano caserme, magazzini, ospedale, chiesa, molino e forno. Grande cortile tra i quartieri, sotto al quale esistono vasti sotterranei. Le casematte più robuste sono verso la tenaglia nord ed il particolare andamento di alcuni bastioni interni (fronte al cortile principale) fa pensare che proprio la parte nord del Forte fosse da considerarsi la Rocca per un’estrema resistenza. Dimensioni complessive: m. 370 x 125. Il cimitero sorgeva all’esterno nella porzione meridionale del lato nord-ovest. Osservazione: torrette tonde verso ovest e verso sud. Armamento di Artiglierie: cannoni da 15 cm. Cannoni da 10 cm.; cannoncini da 6 cm.; mortaio da 20 cm.; mortaietti da salva da 10 cm.</span><br />
<span style="font-size: x-large;">Opere accessorie:</span><br />
<span style="font-size: x-large;">- Torre di Sorico: osservazione e sbarramento sulle provenienze dalla Berlinghera e da San Fidelino;</span><br />
<span style="font-size: x-large;">- Torretta del Passo: sbarramento e controllo terrestre ed acqueo sul Piano e sul Mera;</span><br />
<span style="font-size: x-large;">- Fortino d’Adda: osservazione e sbarramento come sopra (posto scoglio);</span><br />
<span style="font-size: x-large;">- Torrino di Borgofrancone: osservazione e blocco di via d’acqua;</span><br />
<span style="font-size: x-large;">- Torretta di Curcio: osservazione e sbarramento della provenienza dalla Valtellina (posto-scoglio);</span><br />
<span style="font-size: x-large;">- Torre di Fontanedo: barramento delle eventuali infiltrazioni a mezza costa sulle pendici del Legnone, protezione della sede dell’autorità civile di Colico, osservazione su tutto il piano (è il punto più alto del sistema).</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> Unica gravissima carenza era la mancanza d’acqua (eccettuate le opere accessorie di Sorico, Passo, Curcio e Fontanedo) specie nel Forte. Il cattivo stato delle cisterne (male cronico) , il dover rifornirsi d’acqua alle falde del Legnone ed infine terribile la malaria imperversante ovunque falcidiò sempre comandanti e gregari.</span><br />
<span style="font-size: x-large;"> L’impiego bellico del Forte e del suo sistema ebbe inizio in concomitanza alla Rivoluzione Valtellinese del luglio 1620, quando milizie grigione di passaggio nei pressi di Dubino furono cannoneggiate, e successivamente si estrinsecò con il fornire sei pezzi da campagna e relativi armamenti alla spedizione a sostegno dei Valtellinesi. Sino alla fine della Campagna il Forte fornì base di transito e sostegno logistico al Corpo di Spedizione spagnolo. Nel 1622 furono alloggiati nel forte dei prigionieri di guerra. Tutto il restante periodo sino alla fine del XVII secolo fu contrassegnato dal gravoso servizio della guarnigione falcidiata dalla malaria. La situazione idrica e sanitaria si fece grave nel 1675 ed una ispezione venne inviata da Milano. Essa concluse che era necessaria una revisione delle cisterne e consigliò l’acquisto di un carro botte per l’acqua di montagna proveniente da Curcio. La carenza d’acqua, come vedremo, provocherà trecento anni più tardi la resa di altro forte vicino</span>.</div>aquaeductushttp://www.blogger.com/profile/01977847432854549767noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-48520073227231019672010-09-20T07:31:00.000+02:002014-04-06T19:43:38.535+02:00Notizie storiche sul Medeghino<div align="justify">
<strong>Aggiornamento del 6 aprile 2014 Qui l'edizione integrale del libro di Giuseppe Arrigoni</strong><br />
<a href="http://books.google.it/books?id=Lf5SAAAAcAAJ&pg=PA81&lpg=PA81&dq=entierro+a+primaluna&source=bl&ots=vwF2JCeggH&sig=9t8uBcagvrMF7FP19X_71P0DtSM&hl=it&sa=X&ei=T8Y3U9ShGcuBywO26oCICQ&ved=0CEsQ6AEwBA#v=onepage&q=entierro%20a%20primaluna&f=false">http://books.google.it/books?id=Lf5SAAAAcAAJ&pg=PA81&lpg=PA81&dq=entierro+a+primaluna&source=bl&ots=vwF2JCeggH&sig=9t8uBcagvrMF7FP19X_71P0DtSM&hl=it&sa=X&ei=T8Y3U9ShGcuBywO26oCICQ&ved=0CEsQ6AEwBA#v=onepage&q=entierro%20a%20primaluna&f=false</a><br />
<br /><br />
Giuseppe Arrigoni – Notizie storiche della Valsassina e delle terre limitrofe – FORNI EDITORE BOLOGNA 1840.<br />
Libro Terzo - Cap. VII<br />
La Valsassina corsa e depredata dai Grigioni – Viene occupata da G.G.Medici e poi concessagli in feudo – Il Medici prende Chiavenna e porzione della Valtellina – Perde queste regioni – E’ sconfitto a Delebio – Marco Grasso per la Valsassina entra nella valle del Bitto, ma vi è respinto – Il Medici entra nella Brianza ed occupa Monguzzo – E’ battuto dal Leyva – Prende Lecco, ma è subito costretto ad abbandonarlo – Lo ottiene in feudo dall’Imperatore – Battista Medici per la Valsassina penetra nella Valtaleggio e l’occupa fino a Zogno – Ritorna a Musso per la stessa via.<br />
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I fatti che io vo in questo e nel successivo capitolo a narrare sono di un’importanza comparabilmente maggiore degli altri esposti nel presente libro. Imperciocchè racchiudono essi un nuovo periodo di indipendenza dei Valsassinesi e le ultime prove del valore e della gloria loro. Un venturi ero, colta l’opportunità dei tempi, si fece signore del lago e della Valsassina, e qualche tempo si mantenne nel suo piccolo stato infliggendo guerra ai Grigioni, al duca di Milano ed all’Imperatore. Fu questi Gio.Giacomo Medici denominato il Medeghino, il quale, ottenuto con un omicidio e con un inganno il castello di Musso, fortificassi in esso prendendo a soldo tutti quelli che volevano arruolarsi sotto la sua bandiera (1523).<br />
In quel tempo Francesco I re di Francia preparavasi al riacquisto del milanese. In soccorso di lui già eran discesi dalle Alpi 5000 Grigioni sotto la condotta di Renzo da Ceri, il quale doveva passare a Lodi e congiungersi ai fanti italiani capitanati da Federico da Bozzolo. Il Ceri, attraversando la Valsassina, si era portato a Capriano. Contro di lui il duca mandava Gio. De Medici con alcune bande, le quali fino agli alloggiamenti dei Grigioni si spinsero. Ma questi, dopo esser stati tre giorni oziosi, querelandosi di non trovare le promesse paghe, per la strada d’onde eran venuti se ne tornarono a casa (Guicciardini: Istoria d’Italia, lib. XV, cap.III – Calvi: Campidoglio cc., pag 290).<br />
Calavan poco dopo dalla Spluga altri cinquemila fanti Grigioni sotto la condotta di Dietegano Salice per imbarcarsi sul Lario e recarsi nel milanese in aiuto del re. Il Medici che ne aveva avuto avviso, per far cosa gradita al duca e ottener l’investitura di Musso e delle Tre-Pievi, percorse amendue le rive del lago fino a Rezzonico e Bellano, sequestrando tutte le barche, onde Dietegano non potesse servirsene. Giunto di fatto a Colico dovette defilar le truppe per dirupati sentieri verso la Valsassina, e sei giorni dovette impiegare a giungere a Bellano, essendogli dal Medici continuamente contrastato il passo col fuoco dei cannoni posti sopra barche e con spessi postamenti nei luoghi più difficili e difende voli. Entrati i Reti nella Valsassina ogni cosa quasi a vendetta malmenarono. Sboccarono quindi a Lecco e si portarono in Gera d’Adda. Ma poiché le Tre Leghe Grigie videro dal Medici minacciata Chiavenna, richiamarono il Salice il quale con ogni prestezza ripassò la Valsassina, e, recatosi a Colico, tentò il passaggio dell’Adda e recossi nelle Tre Pievi a combattere il Medici, ove venne da questi respinto.<br />
Conoscendo allora il castellano di Musso l’importanza del passo della Valsassina, e di quanto aiuto potesse essergli l’acquisto di questa valle per l’opulenza sua e pel genio degli abitanti all’armi avvezzi, tenne segrete pratiche coi primati ed entratovi ostilmente la occupò. Ottenne poi dal duca un’onorata provvigione col titolo di governatore di Musso, di amendue le rive del lago e della Valsassina.<br />
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Accresciuto così di potere e di forze volle il Medici tentar l’acquisto dell’importante borgata di Chiavenna. Mandò a quell’impresa certo Riccio, il quale, tolti seco soli diciannove fra i più prodi ed<br />
arrischiati militi, appiattossi di notte sotto i baluardi del castello aspettando che il governatore Wolfio Silvestri escisse, com’era uso. Come appena fu fuori lo prese e l’obbligò a far calare il ponte del forte, nel quale entrato, e disarmata la guernigione, attese che gli venisser soccorsi dal Medici.<br />
Appena del fatto avvertiti furono i Grigioni raccolsero dalle vicine valli mille e cento uomini e si riunirono in Chiavenna. Non tardò a sopraggiungere il Medeghino con seicento soldati del suo dominio e alcuni spagnuoli e con un cannone, e dato di fitta notte l’assalto, entrò a viva forza nel borgo, fugando i Grigioni ed inseguendoli per le valli e pei monti (1524).<br />
Vedendo il Medici in auge la sua fortuna meditò l’acquisto della Valtellina, per la quale impresa ottenne che il conte d’Arco governatore di Como con trecento fanti il soccorresse. Lasciato Francesco Del Matto con buon presidio alla guardia di Chiavenna, col resto degli uomini penetrò nella Valtellina occupando Delebio e Morbegno. Ma udendo poi che minacciata era Chiavenna, solo, e sotto mentite spoglie, vi si portò, lasciando al conte d’Arco la cura del proseguimento dell’impresa.<br />
I Grigioni andavan pure preparandosi alla presente guerra, e già d’armi e d’armati avevano empito tutta la Valtellina, e richiamati eziandio seimila fanti che militavano al soldo dei Francesi sotto le mura di Pavia. Per lo che il conte stimò opportuno di porsi in più difendevole situazione ed in modo d’impedir la comunicazione dei nemici con Chiavenna, accampandosi a Dubino oltre l’Adda, ove sconfisse una schiera di Grigioni che, venuta da Pavia, si avviava a Chiavenna.<br />
Ma i Grigioni, cui stava a cuore il ricupero di questo borgo, con tutte le forze piombarono addosso al conte d’Arco e l’obbligarono a snidare di là. Presero quindi Chiavenna; ma la rocca, nella quale era il Riccio, strenuamente si difese per qualche tempo sostenendo venti assalti. Finalmente per mancanza di viveri si rese a condizioni.<br />
Il Medici, intanto che qualche tempo prima erasi recato nelle Tre Pievi per farvi raccolta di gente e di denaro, trovandosi incapace a portar soccorsi a Chiavenna, fece una scorreria nella Valtellina, sbarcando a Colico con novecento armati, e dirigendosi verso Traona, ov’era acquartierato un corpo di Reti. Giunto però a Delebio e d’improvviso assalito dai nemici fu messo in fuga.<br />
Nel tempo stesso, con cinquecento archibugieri Valsassinesi e Lariani, Marco Grasso dalla Valsassina discendeva in Valtellina per la valle del Bitto per attaccare simultaneamente da quella parte i Grigioni. Egli pure, come fu arrivato a Sacco, luogo poco da Morbegno discosto, venne all’impensata assalito e messo in iscompiglio. Riordinatosi però tostamente ed occupata un’altura, si diede a far fuoco disperatamente sui nemici. Ma per la sovrabbondanza del numero dei soldati Grigioni, vedendo di non poter lungamente sostenersi, girò per le creste di quei monti per portarsi in Valmadre, che è dirimpetto a Berbenno, ed entrar da quella parte in Valtellina. Dovendo però passare pel territorio veneto, i rappresentanti della repubblica non vi dieder l’assenso, onde dovette retrocedere (1525). Durante queste vicende era stato fatto prigione il re di Francia e stabilito nel ducato lo Sforza. Se non che la crudele ed ambiziosa politica dell’imperator Carlo V, che pareva mirasse al dominio dell’Italia tutta, suggerì ai principi della penisola di formare una lega per cacciarnelo ed assicurare il trono allo Sforza, che quasi prigione si teneva dal marchese di Pescara, general supremo delle armi cesaree in Lombardia. Del che accortosi il Pescara imprigionò Girolamo Morone ministro del duca e macchinatore di questa lega, ed occupò in nome di Carlo V tutte le città del ducato. Tentò altresì, ma inutilmente, di indurre il Medici al rilascio delle Tre Pievi e della Valsassina. Laonde questi, che temeva di una guerra cogli Spagnuoli, stipulò coi Grigioni una tregua, durante la quale rivolse l’animo ad ingrandire il dominio, e senza ostacolo sottomise tutte le terre del lago e la valle di Menaggio fino a Porlezza.<br />
Favorendo quindi le mosse dell’esercito dei confederati, che erasi accostato a Milano, colle milizie del lago e della Valsassina, e con alcuni Svizzeri da lui assoldati con denari della lega, entrò nella Brianza. Ma essendo riescito a nulla tutto quell’apparecchio di guerra, il Medici, per non tornarsene a casa colle mani vuote, di notte diede la scalata al castello di Monguzzo, che guardato era da Alessandro Bentivoglio, e lo prese.<br />
Per ordine di Antonio de Leyva, succeduto al Pescara nel comando delle truppe cesaree, il quale di mal animo vedeva l’ingrandimento di questo partigiano dello Sforza, il conte Lodovico Belgiojoso portossi a Monguzzo per togliere il castello dalle mani del Medeghino, ma vi fu respinto colla perdita di più di cento soldati e quattro cannoni.</div>
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Resosi il Medici padrone di Monguzzo, facilmente veniva in suo potere quasi tutta la Brianza. E perché necessitava di pecunia, quanti ricchi e facoltosi v’erano nei dintorni imprigionò per trarne riscatto col qual mezzo potè assoldare alcune compagnie di Grigioni, e annoverare così quattromila fanti e cinquecento cavalli. Con queste forze mosse a Carate. Ma il Leyva, cui, com’egli stesso diceva, tornavan più dannose le tumultuarie bande del Medici, che non le truppe ducali, avuto avviso di questa marcia, alla sera abbandonò Milano, e all’alba seguente con buone truppe si trovò a Carate. Feroce ed ostinata zuffa si accese fra i due eserciti, ma l’esito fu sfavorevole ai nostri per la caparbietà dei Grigioni, che sospettando del Medici, abbandonarono il posto loro assegnato (1528).<br />
Era allora governatore di Lecco un Villaterello, spagnuolo, nemico intensissimo al Medeghino. Costui, non avendo mai potuto né per astuzia militare, né per forza tener a freno il Medici, pensò di levargli Musso con frode. Chiamato a sé un Gasparino Sardi, suo prigione, già intrinseco del Medici, e che ora se ne mostrava malcontento, gli promise la libertà se toglieva Musso al castellano. Accettata la proposta e data garanzia, il Sardi volò a Musso, e col Medici indettossi come potevano ingannare il Villaterello. Tornò quindi a Lecco e tolse seco per la finta impresa alcuni spagnuoli ed un fratello del governatore. Sotto colore di sorprendere Musso ve li condusse. Ma appena posero piede sulla soglia che tutti vennero trafitti, ad eccezione di due, i quali reputandosi meravigliosamente salvati, si votarono frati. Un brigantino, postato a poca distanza, essendo così concertato col Villaterello, sentito che ebbe lo sparo del cannone, indizio della riuscita impresa, partì a portarne l’avviso a Lecco. Il governatore a questa nuova, col resto delle sue genti, s’imbarcò tosto per prestar soccorso se uopo fosse; ma giunto a Mandello seppe l’infausto caso, e scornato ritornossene a Lecco, ove poi, dolente per la morte del fratello, ottenutene il corpo, rinunziò il governo della fortezza, né più volle rivedere questi paesi.<br />
La nuova arrivata al Villaterello prima del tempo calcolato dal Medici, tolse a questo di compiere il suo disegno; poiché aveva disposto che appena quello avesse passato Varenna venisse chiuso con catene e legnami il ramo del lago per poterlo così costringere ad una battaglia, la quale facilmente l’avrebbe messo in potere di Lecco. Volendo però ad ogni costo impadronirsi di quel importante e ricca borgata, ivi, si portò non guari dopo con trecento fanti e quattro cannoni, occupando in sulle prime il ponte ed il borgo. Lucio Brisighello, che era subentrato al governo con alcune bande di Calabresi, rinchiusosi nella rocca, si dispose a sostenerne l’assedio, sperando nei soccorsi del Leyva; ma difettando poi d’annona, per consiglio del podestà fece escire da sessanta fra i primi del borgo, i quali, presi dal Medici, gli fruttarono grossa somma se vollero esimersi.<br />
Non furono però tardi i soccorsi del Leyva, inviandogli numerose schiere veterane comandate da Filippo Tornielli, da Lodovico Belgiojoso, da Cesare Maggi e dall’Ibarra spagnuolo. Questi, superate avendo alcune truppe veneziane guidate dai capitani Cosco e Farfarello che venute erano al soccorso del Medici fino al luogo detto il Pertugio, mossero verso Lecco ed obbligarono i nostri a ritirarsi (19 marzo1528).<br />
Ciò che colle armi non potè avere, ottenne il Medici collo sborso di una certa somma di denaro, confermandogli il Leyva a nome dell’imperatore i possessi che aveva, e dandogli il titolo di marchese di Musso e conte di Lecco, impetrata prima per quest’ultimo la cessione delle ragioni di Girolamo Morone che ne era stato infeudato nel 1513 e nel 1515.<br />
Fatto così Gio. Giacomo Medici seguace del partito cesareo e vassallo dell’impero, ebbe dal Leyva ordine che a danno dei Veneziani entrasse nelle valli bergamasche finitime alla Valsassina, mentre l’esercito imperiale d’altra banda contro essi marciava. Intanto che il Medici per tale impresa radunava genti, mandò avanti con alcune compagnie scelte suo fratello Battista, il quale, attraversata la Valsassina, entrò in Valtaleggio occupandone tutte le terre fino a Zogno. Lasciato ivi il capitano Pellicione con cento soldati vecchi e alcune cerne per ridurre all’obbedienza i luoghi circonvicini, egli, col resto delle truppe e col capitano Porino, s’inoltrò nella valle Brembana. Il Leyva intanto, accomodate le cose colla veneta repubblica, era retrocesso senza darne avviso al<br />
Medici. Cessati perciò i pericoli di guerra, i montanari di Taleggio e dei dintorni, tumultuariamente radunati in grosso numero, corsero sopra Zogno. Il Pellicione, che aveva con legnami fortificata la terra, non solamente arrestò l’impeto di quelle bande disordinate, ma le respinse, inseguì e disperse.<br />
Era intenzione di Gio. Giacomo Medici, che andava ingrossando di gente, di accordar quelle valli e correre defilato a sorprendere il castello di Bergamo, quando avuto notizia del seguito accordo, mandò ordine ai suoi che si ritirassero. Riunitisi quindi Battista suo fratello, il Porino e il Pellicione per la stessa strada della Valsassina ritornarono a casa.<br />
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CAPITOLO VIII pag.232<br />
Lo Sforza ritorna al possesso del ducato e fa tregua col Medici – Imprese di questi nella Valtellina – Disfatta dei Grigioni – Il duca entra in lega con essi – L’esercito grigione prende Morbegno – Entra in Valsassina per la valle di Troggia ed assalta la torre d’Introbbio – Bella difesa degli Introbbiesi - , per la quale i Reti abbandonano la Valsassina – Assediano Musso, ma ne sono respinti – I ducali assediano Lecco – Il Medici è sconfitto a Mandello – Suo stratagemma, col quale vince i ducali a Castello – Sua vittoria a Malgrate – Pace fra lo Sforza ed il Medici, per la quale questo cede al duca tutti i suoi dominj.<br />
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Sceso nel seguente anno 1529 l’imperatore Carlo V in Italia a cingersi il capo dell’imperial corona, venne ad accordi col pontefice Clemente VII, fra quali era pattuita la restituzione di tutto l’antico ducato di Milano a Francesco Sforza. Vedendosi allora il Medici privato dei suoi dominj, come appartenenti al duca, e vane essendo riescite le pratiche per ottenere da Carlo V la conferma di quella investitura, che già dal Leyva in suo nome gli era stata accordata, si dispose a sostenere colla forza la sua signoria. Prima però di tentare la sorte delle armi, poiché già le truppe ducali si avanzavano, spedì Leone Arrigoni d’Introbbio, suo agente o ambasciatore, al duca di Savoja ed al vescovo di Vercelli, perché interponessero i loro ufficj e ottenessero dal duca la bramata investitura. Lo Sforza, alieno dalla guerra, accettò il partito, e in pochi giorni si concertarono i patti, coi quali il duca concedeva a Gio. Giacomo Medici Lecco, le Tre-Pievi, la Valsassina e le adjacenze, ed obbligavasi di fornirgli ogni anno certa quantità di grano e di sale, e di riputare i soldati medicensi come quelli del duca. Dall’altro canto il Medici cedeva a questo Monguzzo e le terre attigue, e prometteva pagargli quarantamila scudi. Ma i capitani del Medeghino lo dissuadevano dall’accettar la condizione del pagamento del denaro. Onde, per trattar più comodamente l’affare, Battista Medici e il vescovo di Vercelli ottennero dal duca una tregua di sei mesi (1529).<br />
Il marchese intanto, come quelli cui stava sommamente a cuore l’impresa della Valtellina, assoldava Giorgio Capucciano, duce di una schiera di Albanesi, e Cesare Maggi da Napoli, capitano di un drappello di Calabresi, ed iva arruolando genti dalle sponde lariane, da Lecco e dalla Valsassina. Venuta la primavera del 1531 mosse l’armata, ed a viva forza occupò Delebio difeso dagli alabardieri Grigioni e dai terrazzani. Procedendo quindi alacremente, ottenne Morbegno, che chiuse con bastite e palizzate.<br />
Contro di lui veniva rattamente Giovanni di Marmora, governatore della valle, con quattromila soldati. Non lungi da Berbenno scontrossi con uno squadrone di cavalleria del Medici, il quale, benché animosamente pugnasse, soperchiato dal numero, dovette indietreggiare.<br />
Il vincitore corse allora con gran furia sopra Morbegno, credendo di prenderlo, e ne diede l’assalto. Ma il Medici, prese due compagnie di cavalli che erano accampate fuori del borgo, piombò inopinatamente sul fianco dei nemici, e tanto li tribolò che si diedero alla fuga volgendo verso l’Adda. Il marchese, rapidamente inseguendoli, li sorpassò prima che all’Adda arrivassero, e, postati due cannoni sul ponte impedì loro il passo. Così, serrati i Grigioni fra il fiume ed i nostri, che eran esciti da Morbegno sotto il governo di Gabrio, altro fratello del marchese, interclusa ogni via di scampo, furono uccisi o nell’Adda affogati. Più di cinquecento uomini perdettero i Grigioni in questa disfatta, fra cui Dietegano Salice, Martino Traverso e lo stesso governatore Giovanni di Marmora.<br />
Per questa sorprendente vittoria assai rallegrandosi il marchese volle darne notizia a tutte le potenze, cui credeva potesse tornare gradita, e specialmente al sommo pontefice per mezzo del suo fratello Agosto residente in Roma, all’imperatore per mezzo del protonotario Caracciolo, ed al senato veneziano per mezzo di Leone Arrigoni d’Introbbio, suo ambasciatore presso quella repubblica. Ma il duca, che mal volentieri vedeva quella vittoria, ancorchè spirato non fosse il termine della tregua, trasse le truppe contro il Medici, strinse alleanza coi Grigioni ed operò che l’imperatore richiamasse gli spagnuoli che militavano al soldo del Medici ed impedisse il passaggio pel Tirolo di quattromila Svizzeri per lui accordati dal conte d’Altemps suo cognato. Per lo che il marchese, assai dolendosi del tradimento dello Sforza, ne rese contezza ai principi e volendo perpetuarne la memoria fece nella sua zecca di Musso coniare una moneta col motto rupta fides.</div>
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Già i Grigioni eran calati nella Valtellina in numero di quattordicimila fra cavalli e fanti con molti pezzi di artiglieria. Porzione di questa numerosa falange marciò contro Morbegno e ne dispose l’assedio. Gabrio, che ne era alla custodia, stette alcuni dì, ma vedendo che i nemici si facevano sempre più forti e numerosi deliberò di evadere. Chiusi i terrazzani nelle cantine, perché non potessero dar segno alcuno ai nemici, di nottetempo tanto chetamente col presidio escì dal borgo, che fino al giorno i Grigioni non se ne avvidero. Corsero allora sulle tracce dei fuggitivi, ma giunti a Colico videro che già eran nelle acque veleggiando verso Musso. Una nave però, in cui eran quaranta Spagnuoli capitanati da Marco Grasso, mentre dirigevasi alla torre di Olonio per rinforzar quel presidio, ammelmò in quelle paludi talmente che diede campo ai Grigioni di andar loro sopra ed obbligarli alla resa. Il Grasso, condotto a Sondrio, fu alle forche appeso.<br />
E poiché prospera vedevan la fortuna si accinsero i Grigioni ad altra impresa. Sapendo di quanto utile di uomini e di pecunia fosse al Medici la Valsassina popolata di molte grosse terre ed affezzionatissima al marchese, deliberarono d’invaderla. Intanto, così essendosi concertato, il duca spediva Gio. Battista Speziano, Lodovico Vistarino e Alessandro Gonzaga, marchese di Mantova, all’oppugnazione di Monguzzo e di Lecco. Da Morbegno spingendosi adunque i Grigioni nella valle del Bitto in numero di seimila combattenti capitanati da Giorgio Vestari con alcuni pezzi di artiglieria, calarono per quella della Troggia ad Introbbio.</div>
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Siede Introbbio quasi nel centro della Valsassina, là dove, chi assomigliar la volesse ad un braccio ricurvo, ne apparirebbe il gomito. Mediocremente spaziata gli si apre dinanzi una pianura a campi ed a prati, ed a tergo s’innalza un monte, già del ducato milanese colla veneta repubblica e coi Grigioni, or colla bergamasca provincia e sondriese, confine. Il torrente Acquaduro gli lambe il fianco a scirocco, e più discosto a maestro lo bagna la Troggia, tributarj amendue del maggior fiume, la Pioverna, che a libeccio discorre. Nel bel mezzo del borgo, rinforzata da propugnacoli e baluardi, sorgeva una quadrata e capace torre, che durata alle ingiurie dei secoli, tuttavia si ammira. Luogo d’importanza militare e commerciale era Introbbio a quei dì; conciossiaché, oltre all’esser strada a chi si portasse nei sopraddetti stati ed attiguo al difendevol posto del Ponte di Chiuso, vi risiedevan i magistrati di giustizia della valle, il collegio dei notaj e varie nobili e ricche famiglie, ed il commercio e l’industria vi fiorivano. Travagliato nondimeno negli antichi tempi da spessi depredamenti di eserciti e da incendj, e dalle moderne ingiurie straziato e casso, non potè per avventura aggiungere a quella prosperità, cui fin d’allora destinato pareva.<br />
Era la torre guardata dai terrazzani, i quali al primo avviso che il retico esercito era presso, eransi colà dentro ritirati con quanta copia di camangiare e di munizioni poterono, disposti a farne fino all’ultimo sangue la difesa. Come i Grigioni entrati furono nella terra fecero la chiamata della torre. Risposero gl’intrepidi Introbbiesi non voler essi deporre le armi prima che non fossero conquistati Monguzzo, Lecco e Musso. Accampossi allora l’esercito intorno al paese e diede l’assalto alla torre, bersagliandola molto fieramente coi cannoni e colle moschetterie, sperando che non dovesse loro resistere per l’infinita loro prevalenza di numero; ma furono essi con molto loro danni ributtati. Il seguente giorno rinnovaron l’assalto e di nuovo ne furono respinti. Stettero così accampati molti giorni sempre tentandone la scalata; ma poiché videro, che per l’ardire e la pertinacia dei difensori non era lor dato di poterla prendere e che l’esercito veniva sempre decimando sì per le palle che sugli assalitori piovevano incessantemente dalle caditoje e balestriere del forte, e per le immani schegge di rupi che dalle eminenze rotolavan addosso a quelli che guardavano il blocco, abbandonarono quella impresa e si rivolsero verso Bellano, mettendo a saccomanno Vimogno, Primaluna, Cortabbio, Cortenuova e tutte le altre terre che pel cammino incontrarono.</div>
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Si drizzarono quindi verso le Tre-Pievi, da dove sloggiarono il Medici, benché strenuamente si difendesse, obbligandolo a rinchiudersi nel castello di Musso. Assediato dai Reti e dalle artiglierie continuamente battuto, era il castello a dure condizioni venuto. Ma il Medici seppe così bene di notte assalir da più bande i nemici, che fugati e spersi se ne tornarono in Valtellina (15 novembre 1531).<br />
Intanto Alessandro Gonzaga colle truppe ducali aveva preso Monguzzo e si era portato all’espugnazione di Lecco. Dispose egli una lunga trinciera fra il borgo ed il ponte per segregare l’un presidio dall’altro. Mandò poi il capitano Corsino da Sant’Angelo con due compagnie e alcuni cannoni a Malgrate, perché impedisse ogni soccorso dalla parte del lago. Egli infine si pose a Castello che sovrasta al borgo e cominciò a batterlo con tre cannoni. Nel tempo istesso Lodovico Vistarino colla classe navale bersagliava talmente il ponte che le guardie dovettero ritirarsi nella parte posteriore di esso detta il Rivellino. Gabrio, che era al governo del borgo, mandò in soccorso del ponte Pedraccio da Erba con dieci soldati. Questo, passata a tutta foga la trincea nemica, entrò nel Rivellino; ma, vista avendo l’impossibilità di difendersi, con quei pochi sani che v’erano ritornò in Lecco. Gli altri si arresero al Vistarino, il quale munì il ponte e venne a Mandello per impedir alle navi medicensi la navigazione a Lecco.<br />
Il marchese, dopo aver perseguitato i Grigioni, velocemente volò al soccorso di Lecco sbarcando nel tragitto diversi corpi a Dervio, Bellano, Varenna e Mandello, nei quali paesi trovavansi alcune guardie nemiche che sbaragliò.<br />
Accresciuta poi la flottiglia da alcune navi lecchesi capitanate da Giovanni Agliati, mosse contro il Vistarino. Infelicemente però riescigli questa fazione, nella quale restò morto Gabrio, suo fratello, valorosissimo giovine, che portato a Lecco, ed ottenuta una tregua per fargli i funebri onori, fu sepolto nella chiesa di S. Giacomo di Castello.<br />
Per tale sinistro accidente temendo il marchese di continuare la guerra, per la quale difettava di pecunia, tentò di far lega col re di Francia e ottener da lui qualche sovvenimento. Vane però essendogli riescite le pratiche, fece battere gran copia di monete di una lega di stagno e argento, a cui diede un esagerato valor nominale e le fece circolare colla promessa di redimerle alla fine della guerra. Tanto era il Medici dalle sue genti amato, che non solo accettarono quel metallo, ma vollero ritenerlo per sua memoria anche quando egli, mantenendo la promessa, volle riscattarlo.<br />
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Ristaurato così d’animo e di forze rimise nelle acque il naviglio, e passando Mandello senza che il Vistarino se ne accorgesse, calò a Lecco, ove assaltò trecento Calabresi guidati da Cesare Maggi.<br />
Avendo quindi udito che il Gonzaga se ne stava assai negligentemente in Castello, pensò di assaltarlo all’impensata. Scelti a tal uopo novantadue uomini, mise loro sopra l’armi una camicia con una banda bianca e fascetti rossi e con altra banda rossa a differenza delle ducali che le portavan tutte rosse, e sopra la camicia una cappa nera. Avuta voce dal Caravacca, famoso nell’ufficio di spia, del luogo preciso e del motto della sentinella, lasciò Lecco in guardia al Pellicione ed a Gabrio Serbelloni, scese nella fossa per uscir dalla parte del lago, e camminando con silenzio sotto le trincere giunse rimpetto al ponte. Ivi a caso cadde a terra un tedesco di grave armatura, al cui rumore la sentinella gridò; ma quei che guardavan il ponte non sentendo altro fracasso, poiché i medicensi bocconi a terra si eran gittati, se ne tornarono al riposo. Arrivato così a Castello impose ai suoi che cavassero la cappa nera, ad eccezione di due, coi quali avviossi verso la prima sentinella. Le diede la parola e, accostatosi, vibrolle una pugnalata nella gola. Appressossi poi di slancio al corpo di guardia e gettò una pugnata di bragia in viso al caporale che sonnacchioso se ne stava al fuoco. Alzato quindi un grido, entrarono gl’incamisciati, coi quali corse alla tenda del Gonzaga, che se ne stava a letto coll’amanza, e fecelo prigione. Le munizioni, le artiglierie, le bagaglie rimasero in potere dei nostri (1532).<br />
Approfittando allora della propizia fortuna, mandò Cesare Maggi coi capitani Gio. Francesco d’Ischia, Cosco, Bigotto e Paolo d’Anversa ad assalir Malgrate difeso da buone milizie testè<br />
accresciute di nuovi soldati guidati dal capitano Accursio da Lodi e di una porzione di quelli del Vistarino. Assaltati sul far dell’alba del 14 febbrajo, e per la parte del lago, e per quella di terra, brandiron i ducali le armi come meglio seppero, e con molta bravura sostennero il primo impeto dei medicensi. Ma come entrarono questi nella terra ed assaliti si videro da ogni parte, cominciarono a cagliare e andar in iscompiglio. Il prode Accursio con un drappello di valorosi ridotto in una casa disperatamente si difendeva, ma cinta la casa e bombardata, ricusando egli di depor l’armi sebben ferito, spirò schiacciato fra lo sfasciume delle rovinanti mura.<br />
Non eransi frattanto intromesse dai fratelli del Medici, Battista e Gio. Angelo, che fu poi pontefice, le pratiche d’accordo, il quale venne finalmente stipulato e ratificato da ambe le parti colle condizioni seguenti: che il Medici rinunziasse Musso, Lecco, la Valsassina e le altre terre, e restituisse le artiglierie tolte ai Veneziani; che il duca fosse tenuto pagargli diecimila scudi d’oro al momento ed altri venticinquemila entro otto mesi, e dargli il marchesato di Melegnano coll’entrata di scudi mille, che liberi fossero ed il Medici ed i suoi fratelli, fautori e soldati da qualunque reato, e che ferme fossero tutte le sentenze da lui e dal suo consiglio emanate. </div>
marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-44169533750505330082010-05-16T11:06:00.002+02:002010-05-16T11:21:58.331+02:00Dresda e Lodi, crocevia di destini<ul><li><div align="justify"> </div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilIIXNxSdnAuBECDQ5caGeaB79HHPEaJRhXN2KIVX89pWdhpNlS9Lw_ZJcW1TaW_vDRsDRQ_-UHT0uy6mGHNiwuth8EsEjoblJcRBtJ7wdfYaAytKpEjpThs3P8VOwWuCYDR-2PBWBM0yx/s1600/800px-Ponte_Lodi.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; DISPLAY: block; HEIGHT: 213px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5469204216024126722" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilIIXNxSdnAuBECDQ5caGeaB79HHPEaJRhXN2KIVX89pWdhpNlS9Lw_ZJcW1TaW_vDRsDRQ_-UHT0uy6mGHNiwuth8EsEjoblJcRBtJ7wdfYaAytKpEjpThs3P8VOwWuCYDR-2PBWBM0yx/s320/800px-Ponte_Lodi.jpg" /></a><br /><br />Dal blog: Il Giardino delle Esperidi<br /><br /><div align="justify">Il 10 maggio 1796 una colonna dell'armata francese, comandata da un giovane generale dal nome tipicamente italiano, <strong>Napoleone Bonaparte</strong>, sferrò l'attacco decisivo contro l'esercito austriaco arroccato a Lodi per respingere il contingente francese che il giorno prima aveva attraversato il Po a Piacenza, invadendo la Lombardia al di qua dell'Adda, allora sotto la dominazione austriaca. Era partito da Parigi sessanta giorni prima, l'11 marzo, appena due giorni dopo il matrimonio con Giuseppina Tascher, vedova Beauharnais, con un contingente di 38.000 uomini mal equipaggiati. La battaglia è storicamente nota come "<strong>battaglia al Ponte di Lodi</strong>". Nell'azione fulminea di quel giorno Napoleone rivelò in pieno le sue doti di grande stratega tattico. Mandando i suoi all'arrembaggio, i primi dei quali lanciati incontro a morte certa, non lasciò a Beaulieu il benchè minimo tempo per attendere i rinforzi sperati. Nonostante i 12 cannoni austriaci piazzati in difesa sul ponte, i francesi alla fine ebbero la meglio; grazie a coraggio, gagliardia e abnegazione, continuamente richiamati da Napoleone. Lasciarono però sul campo 350 morti. Gli austriaci, invece, dichiararono 153 morti e 1700 prigionieri in mano dei francesi. L'indomani l'Austria abbandonerà Milano. Quella sera del 10 maggio 1796 nasceva il mito di Napoleone, l'imperatore più potente d'Europa. <img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; DISPLAY: block; HEIGHT: 240px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5468852392082883298" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEGSSOOk5tkB7qjVMNk4xWbCCToUuzpi4qfjVTYrZpo60WJV8Rw8ud5uqwPe3R-TcZYQPiVauapwYFSu6U1m8mVNcI99dhW4ObbZM8DuBwtLU0rs4cW6tpMtGnmUDTDKu1ilunSYjMqnqn/s320/DSCF0638.JPG" /><br />Come scrisse egli stesso anni dopo "<em>Fu solo alla sera di Lodi, che cominciai a ritenermi un uomo superiore e che nutrii l'ambizione di attuare grandi cose che fino a quel momento avevano trovato posto nella mia mente solo come un sogno fantastico". </em></div><br /><em></em><br /><div align="justify">Ancor oggi i francesi attribuiscono grande importanza alla <a href="http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=fr&u=http://fr.wikipedia.org/wiki/Bataille_du_pont_de_Lodi&ei=0yemS8D1EJjL-Qa9qIzTBg&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=4&ved=0CBgQ7gEwAw&prev=/search%3Fq%3Drue%2Bdu%2BPont%2Bde%2BLodi%26hl%3Dit%26lr%3D%26rlz%3D1R2SVEA_it">Battaglia del Ponte di Lodi </a>, tanto che in numerosi loro comuni vi sono vie o piazze ad essa dedicate; è il caso della "<em><strong>rue du Pont de Lodi</strong> nel VI arrondissement di Parigi ";</em> è anche forse il toponimo più diffuso in Francia.</div><br /><br /><p align="justify">La meta era Milano, da dove, subito dopo la battaglia, era partita una delegazione per andare incontro al generale Bonaparte. Era capeggiata da Francesco Melzi d'Eril, cognato di Pietro Verri; ma è facile supp<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6OsK6QF41VFjJYXc6oLZnxKhYDqvI5pxxCJ7BhXco3Loe36XRqC_9gcJQIXzOAC-i6L0iEcB4cz34ensobPTtcr9-amdntS6hYcdhCKlIzdG6t-CG4jGUinlmWe6CZ9URiSMqaeNng-DZ/s1600/p.verri+a+brera+(innoc.Fraccaroli).jpg"><img style="MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 161px; FLOAT: left; HEIGHT: 320px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5469284730965209314" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6OsK6QF41VFjJYXc6oLZnxKhYDqvI5pxxCJ7BhXco3Loe36XRqC_9gcJQIXzOAC-i6L0iEcB4cz34ensobPTtcr9-amdntS6hYcdhCKlIzdG6t-CG4jGUinlmWe6CZ9URiSMqaeNng-DZ/s320/p.verri+a+brera+(innoc.Fraccaroli).jpg" /></a>orre che a capo di quella delegazione avrebbe voluto esserci lui, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Verri"><strong>Pietro Verri</strong></a>, che però all'epoca era già un attempato sessantottenne, padre di sette figlie e marito di Vincenza, sorella del capo delegazione.<br /><br /></p><div align="justify">Pietro Verri aveva combattuto a Dresda, per breve tempo, nel corso della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_dei_sette_anni"><strong>Guerra dei sette anni</strong></a>. Si era arruolato volontario per sfuggire al destino che suo padre, il giureconsulto Gabriele Verri, aveva già deciso per lui; secondo i costumi del tempo, lo voleva magistrato come lui, e sposato con chi aveva scelto lui. Tornato a Milano, dopo la successiva parentesi viennese, i fratelli Pietro e Alessandro Verri avevano fondato <a href="http://esperidi.blogspot.com/2010/01/laccademia-dei-pugni.html"><strong>l'Accademia dei Pugni</strong></a> per dibattere e approfondire di filosofia, economia e politica. </div><br /><div align="justify">Erano passati 30 anni, da quel maggio 1766, quando i sette della Società dei Pugni avevano deciso di por fine alla loro esaltante esperienza, e di cessare le pubblicazioni della loro rivista filosofico letteraria, Il Caffè. La pubblicazione era rimasta in vita solamente poco più di due anni: la gente non era allora ancora pronta per recepire le idee "rivoluzionarie" di<em> "quei sette che ragionavano di filosofia, menandosi di pugni alla fine di quasi ogni riunione</em>". </div><br /><div align="justify">Ma dopo trent'anni, qualcosa di quei concetti era stato assimilato dalla gente; la marcia trionfale di Napoleone verso Milano non sarebbe stata tale senza la scossa che quelle idee avevano comunque prodotto. </div><br /><div align="justify">Anche se la vera svolta che tutti si aspettavano da Napoleone non fu poi quella attesa (ordini religiosi soppressi, chiese spogliate, opere d'arte mandate in Francia e, in parte, ancor oggi non ancora restituite (*)...), Milano iniziò, nel bene e nel male, una rivoluzione urbanistica, tuttora in corso, che l'ha portata ad essere una delle metropoli più attraenti del mondo. Giova anche ricordare che Milano, sotto Napoleone, era tornata ad essere, dopo 14 secoli <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/search?q=Milano+in+et%C3%A0+romana%3A+il+porto"><strong>(vedere: Milano in età Romana)</strong> </a>, la capitale di un forte regno unitario, il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Regno_d%27Italia_(1805-1814"><strong>Regno d'Italia</strong></a> (1805-1814) che comprendeva regioni e province del nord est e del centro nord.<br /><br />Altra città fatale per Napoleone, e in tal caso quindi doppiamente fatale, è stata Dresda.</div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2EKc8eb9DiHeWxDRPMus3wqVdS7aLr1AcG5I6DpnvSeA5yN1KbFcBO0DDqwJDO07kHyFzelC3O1kmuj8t-2sKXb2OgJyet5aRnlKyFe19rxa1HrIDor7mKNXYZOnCVrg2FKY5D21sqyT5/s1600-h/napoleone.jpg"><img style="MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 273px; FLOAT: right; HEIGHT: 320px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5451108830714193106" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2EKc8eb9DiHeWxDRPMus3wqVdS7aLr1AcG5I6DpnvSeA5yN1KbFcBO0DDqwJDO07kHyFzelC3O1kmuj8t-2sKXb2OgJyet5aRnlKyFe19rxa1HrIDor7mKNXYZOnCVrg2FKY5D21sqyT5/s320/napoleone.jpg" /></a><br />In positivo:<br /><br /><div align="justify">perchè Pietro Verri il suo "<em>spianatore verso Milano</em>", nel 1759, nel corso della Guerra dei Sette Anni, durante la quale, arruolatosi volontario col ruolo di ufficiale nello stato maggiore del generale Daun, aveva conosciuto il britannico Henry Lloyd, un avventuriero che comunque gli aveva instillato i germi per la passione agli studi economici, che poi Verri estese a quelli politici, durante il suo successivo breve soggiorno a Vienna; </div><br /><br />in negativo:<br /><p align="justify">per la battaglia che aveva segnato il destino finale di Napoleone.<br /><br /></p><div align="justify">Nel post<strong> </strong><a href="http://esperidi.blogspot.com/2009/11/vedute.html"><strong>Vedute</strong></a> sono menzionate le quattro distruzioni subite da Dresda, città martire. </div><br /><div align="justify">Tra la guerra dei Sette Anni e la seconda guerra mondiale, che avevano entrambe raso al suolo la città, è da annoverare anche una <em>vittoria di Pirro</em> di Napoleone, conseguita nei dintorni della città. Nel 1813 un suo avanposto, al comando del generale Vandamme sconfisse la coalizione austro-russo-prussiana, ma la sua fu una vittoria effimera. La troppa fretta di avanzare, all'inseguimento dei nemici, gli fece commettere errori di valutazione nella consistenza della loro vera forza. Dopo tre giorni d'inseguimento questi ebbero la meglio nella <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Kulm">Battaglia di Kulm</a>. Un mese e mezzo più tardi, Napoleone fu sconfitto a <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Lipsia">Lipsia</a>. Era il 19 ottobre 1813, iniziava il tramonto del mito napoleonico. </div><br /><p align="justify">Parafrasando il Poeta "fu vera gloria?..." anche in considerazione del fatto che se Lodi, che gli aveva subito tributato un monumento (anche se da Napoleone stesso fatto erigere), lo distrusse nel 1814? Dal sito ufficiale Città di Lodi, si legge infatti: <em>"...In fondo al corridoio, cortiletto con lapidi, sculture, iscrizioni funerarie dell'antico cimitero ebraico,<strong> frammenti del</strong> <strong>monumento a Napoleone</strong>, già in piazza Maggiore (**), abbattuto nel </em>1814,<br />probabilmente dopo appresa la notizia dell'esilio di Napoleone all'Elba (ndr).<br /></p><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; DISPLAY: block; HEIGHT: 216px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5451067717013838754" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEia9Tj9b-p014y6xzHWusHw1H7yv09VKsSBYXKfCr0dzK53ZmoItkXeUBXMPFQiRrXbm8a9WLxOrw7qT2nVtJUAu6hhDQ2QljsHz1CZvq7zN4j05MVgyalJumx356iymwDsYX5Gbp5ZdwO0/s320/800px-Battaglia_del_Ponte_di_Lodi_Bagetti.jpg" /> <p>(**) ora <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Piazza_della_Vittoria_(Lodi"><strong>Piazza della Vittoria</strong></a>, dal 1924.<strong> </strong><br />E' lecito supporre che il nuovo nome le sia stato attribuito per la vittoria dell'Italia nella prima guerra mondiale. ma sarebbe altrettanto motivo d'orgoglio, e non di nascondimento per i lodigiani, sapere e ricordare che il mito napoleonico, <strong>nel bene e nel male</strong>, è nato nella loro città. Io stesso sono stato frequentatore innamorato della loro città, e mi sarebbe bello sapere che Lodi ridedichi un monumento degno di tale nome a una tale grande personalità che,<strong> nel bene e nel</strong> <strong>male</strong>, ha tracciato pagine eterne di storia.<br />----<br />Questo l'itinerario suggerito dal sito <strong>Città di Lodi, </strong>per raggiungere il Ponte<strong>:</strong> "<em>Si prende via Indipendenza a sinistra e si giunge a piazza Barzaghi nei pressi dell'attuale ponte sull'Adda (1864). Di fronte alla chiesa di S. Rocco,</em> c'è la<em><strong> lapide commemorativa della battaglia qui combattuta e vinta da Napoleone contro gli austriaci (10 maggio 1796). </strong>Il ponte antico in legno fu distrutto nel 1859.</em><br />(dal <a href="http://www.comune.lodi.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/391">Sito ufficiale Città di Lodi: Itinerario turistico della città</a> )<br />----<br /><strong><em>(*) Nota: Sulle opere d'arte trafugate dai francesi di Napoleone, trasportate in Francia, e non ancora restituite ai legittimi proprietari, dopo 200 anni, invito gli esperti d'arte di questo blog a scriverne un post dedicato</em></strong>.<br />---<br />Sopra, dall'alto in basso:<br />- Il Ponte sull'Adda a Lodi, da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/File:Ponte_Lodi.jpg">Wikipedia.org</a><br />- targa commemorativa "10 maggio 1796": foto dell'autore<br />- Pietro Verri a Brera, foto di Innocenzo Fraccaroli<br />- Napoleone Bonaparte attraversa le Alpi, dipinto di Jaques-Louis David, da Wikipedia:<br />- <strong>Battaglia del Ponte di Lodi - dipinto di Giuseppe Pietro Bagetti (da Wikipedia)</strong> <strong></strong></p></li></ul>marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-75461205366747966482010-03-27T12:32:00.003+01:002010-03-27T12:39:34.099+01:00Popolazione e ambiente<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidMD82S1Hs6kIbrR0H2z5bvsDvgyJmL5keWpqGxwi0anohsc4QuIGZrFpJPrHYGVpEHsthTai7XKeNeLqajASfQSgzzjOWklC12z9Y-dPQca5jxEjgCdyqmxC5czxfvRheoWQaPky6Aqte/s1600/grugno.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; DISPLAY: block; HEIGHT: 240px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5453260517492506066" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidMD82S1Hs6kIbrR0H2z5bvsDvgyJmL5keWpqGxwi0anohsc4QuIGZrFpJPrHYGVpEHsthTai7XKeNeLqajASfQSgzzjOWklC12z9Y-dPQca5jxEjgCdyqmxC5czxfvRheoWQaPky6Aqte/s320/grugno.jpg" /></a><br /><div><div align="justify">Nelle pagine del blog di Marshall si è spesso affrontato lo spinoso tema della densità di popolazione. Uno dei migliori studi in materia l'aveva effettuato il blogger <strong>Pseudosauro</strong>. Da una tabella elaborata da <a href="http://doc.studenti.it/podcast/la-densita-della-popolazione.html"><strong>Studenti.it</strong> </a>, si evince, poi, che le aree con più di 100 abitanti a kmq sono da considerarsi ad alta densità abitativa. </div><br /><div align="justify">Ho tra le mani<em> <strong>I Luit, </strong>Foglio informativo di Lega Nord Padania - Sezione di Nova Milanese, </em>nel quale, Davide Termine affronta il tema, descrivendovi i dati di una sua accurata analisi.<br /><strong><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Nova_Milanese">Nova Milanese </a>, </strong>isola felice fino a pochi anni fa (ma che ancora potrebbe esserla), è un piccolo comune del nord milanese, ora in provincia di Monza e Brianza, di appena 5,81 kmq di estensione totale, con una polazione di 23.210 abitanti, e dunque una densità di popolazione di 3995 abitanti per kmq. Secondo lo studio di Davide Termine la popolazione dovrebbe crescere di altri 4.250, a seguito del nuovo PGT che prevede altri 425.000 mq di terreno sottratti al verde, 611 nuovi appartamenti, e, appunto, 4250 nuovi abitanti. La <strong>densità totale di popolazione </strong>diventerà così di <strong>4.726 abitanti per kmq</strong> (27460 abit. diviso 5,81 kmq), <strong>un notevole numero di abitanti, sparsi su un'esigua estensione territoriale.</strong> E i servizi? si chiede l'articolista. E l'inquinamento atmosferico da CO2 - si chiede ancora - dove andrà a finire? I 4.250 nuovi abitanti previsti, porteranno inevitabilmente con se almeno <strong>2800 automobili in più </strong>(la media nazionale è di due e anche tre auto per famiglia. Due auto per famiglia di tre persone; quindi 4.250 : 1,5 = 2833. Appunto!).<br />L'articolista fa il conto che le 2.800 auto in più, occuperanno 12.600 metri lineari di parcheggi (12,6 km di auto incolonnate da Nova a Milano).<br />----<br />Nova, dicevo, era, e potrebbe esserla ancora, un'isola felice del nord Milanese. Situata a pochi km di distanza dai più bei laghi europei, <strong>lago di Como</strong> e <strong>lago Maggiore</strong>, dei quali ne ha scritta l'apoteosi<strong> Stendhal</strong>, nel romanzo semistorico <strong>La Certosa di Parma, </strong>gode ancora di un clima relativamente mite e sopportabile: non troppo caldo durante l'estate, nè troppo freddo durante l'inverno. La strada che la collega a<strong> Cinisello</strong>, storicamente ha fatto parte della <strong>Strada della Regina. </strong>Si narra che l'avesse fatta costruire la <strong>Regina Teodolinda </strong>per andare a pregare nel santuario fatto erigere a <strong>Lanzo d'Intelvi</strong>, cittadina con vista panoramica sui tre laghi: <strong>Como, Maggiore e Lugano</strong>. Si narra che la Strada della Regina partiva da <strong>Crescenzago</strong>, a nord est di Milano, dove i <strong>Longobardi </strong>avevano stabilito la loro capitale principale (e a Monza la residenza estiva, perchè gode di un clima migliore, con temperature estive assai più miti che non a Milano). Narra la leggenda che, partendo da Crescenzago, col suo seguito di dame di compagnia e cavalieri di scorta, dopo aver fatta una sosta di preghiera obbligata al santuario di <strong>Sant'Eusebio </strong>di <strong>Cinisello Balsamo, </strong>la comitiva della regina Teodolinda s'inoltrava poi nell'allora fitto bosco esistente tra Cinisello e Nova. Il bosco diventato in seguito zona di caccia preferita dai Visconti, signori di Milano, era esistito da quei tempi, e, prima ancora, dal tempo dei <strong>Romani</strong>. Ora non esiste più da decenni e al suo posto vi transita la <strong>superstrada Monza-Rho; </strong>il terreno, invece, è stato occupato da capannoni industriali, per quanto attiene l'area di Nova Milanese, mentre l'area sita in territorio comunale di Cinisello Balsamo, è stata salvata da cementificazione certa, mediante la coraggiosa iniziativa di costituire il <strong>Parco di Sant'Eusebio</strong>, facente parte, a pieno diritto, del più vasto<a href="http://www.parks.it/parco.grugnotorto.villoresi/index.php"><strong> Parco Grugnotorto Villoresi</strong> </a>. Nell'area del parco di Sant'Eusebio, che è proprio a ridosso della <strong>romanica chiesetta, </strong>circa 20 anni fa vi ho visto piantare quantità enorme di fitte piantine. Ora, stanno per diventare il fitto bosco di un tempo. Peccato che Nova Milanese non abbia nel frattempo saputo fare altrettanto, almeno su uno dei due lati di quella che sta diventando l'arteria cittadina più importante: l'accesso allo svincolo della <strong>superstrada Monza-Rho.</strong> </div>----<br /><div></div><div>L'immagine sopra è tratta dalla <a href="http://www.parks.it/parco.grugnotorto.villoresi/gallery.php">Fotogallery del Parco Grugnotorto Villoresi</a> </div></div>marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-78740662658878299482010-03-11T22:48:00.004+01:002010-03-11T23:23:42.445+01:00Piramide rovesciata e prospettiva sferoidale<div style="text-align: justify;">Il presente post sarebbe stato più giusto averlo inserito in UMANISTICA, ma avendovi pubblicato di fresco il post "Navigli amore mio", che sta riscuotendo un certo interesse, ho preferito inserire questo in STORIA, anche se, in realtà, viene trattata STORIA DELL'ARTE.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Ho avuto richieste "in famiglia", e da "alcuni universitari del Tempo Libero" di chiarimenti in merito a "piramide rovesciata", "prospettiva sferoidale", e quant'altro. Cosa di meglio se non rispondere con il copia-incolla di una "lezione" persoalizzata che mi fece Josh del (<a href="http://esperidi.blogspot.com/2009/03/emile-benard-e-la-scuola-di-pont-aven.html"> Giardino delle Esperidi, col seguente articolo (cliccare per leggere)</a> .</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Ecco il contenuto di quel commento, all'articolo del 19 marzo 2009:</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><em>"...la piramide rovesciata, o meglio avrei potuto dire il tronco di piramide rovesciata è la classica rappresentazione prospettica in pittura, la prospettiva rinascimentale dell'Alberti, con i punti di fuga, o come puoi vedere nelle declinazioni successive anche nelle 'quinte' architettoniche e teatrali dei dipinti del manierismo, del barocco, o del 1700-1800.</em></div><div style="text-align: justify;">Sarà Cézanne nella 2nda metà 1800 il primo rivoluzionario a rifiutare il sistema di <em>rappresentazione con la prospettiva classica, appunto senza 'il tronco di piramide rovesciata'. Cézanne utilizza un sistema calibrato su uno sferoide prospettico: gli elementi portanti dello sferoide immaginario sono curvilinei...quindi sostituiscono il tronco di piramide rovesciata dell'Alberti.<br />
<br />
Sui 2 sistemi prospettici suddetti nella storia dell'arte:<br />
per intendere la prospettiva classica a piramide tronca rovesciata cfr. per esempio questo quadro, una classica veduta di C tutta la pittura ha seguito questo codice di rappresentazione della prospettiva e della profondità, con questo senso dei punti di fuga.</em></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><em>Prendi ora Cézanne, 'le grandi bagnanti' del 1906<br />
<br />
http://www.tbarte.com/sito%20normale/RUBRICA%20STORIA%20DELL%27ARTE/PAGINE%20RUBRICA/foto%20cezanne%20e%20il%20cubismo/cezannelebagnanti.jpg<br />
<br />
visto? non c'è più lo stesso senso di profondità. Tutto è più vicino, meno 'sfondato', le linee sono curve (lo sferoide) e piatte.<br />
La vera rottura Cèzanne la ottiene con l’utilizzo di un sistema prospettico basato sullo sferoide, i cui elementi sono curvilinei e che sostituisce la piramide tronca rovesciata di Alberti: C. si<br />
richiama al principio dell’immagine del mondo proiettata sulla superficie curva<br />
della retina. Nelle opere di C. e nelle successive di molti altri lo spazio dentro alla<br />
sfera (o nella successiva moltiplicazione dei punti di vista e dei piani di visione in contemporanea come nel Cubismo) non potrà mai allontanarsi dall’osservatore quanto quello costruito in una piramide, il cui<br />
vertice, mantenendo la stessa base, poteva allontanarsi all’infinito.<br />
<br />
C'è anche un famoso testo di storia/critica che spiega molto meglio di me l'arte non solo a periodizzazioni o medaglioni, ma da un momento di svolta effettiva a un altro, intanto te lo segno:</em></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><em>Renato Barilli, "L'arte Contemporanea", Feltrinelli, MI 2003<br />
<br />
Facendo una ricerca su Cèzanne, in un libro d'arte allegato a fascicoli a Corsera, anni fa, arrivato a Modigliani Giulio Carlo Argan scrive:<br />
"Quando arriva a Parigi nel 1906 Modigliani capisce che tutta l'arte moderna nasce da Cèzanne. Lo scultore rumeno Brancusi,(...) gli ispira il culto della forma pura e chiusa, di cui la linea, da sola, plasma e definisce il volume. Si dedica dapprima alla scultura, solo più tardi si rende conto che la materia più adatta alla sua ricerca plastica è il colore. L'integrità di una forma che si dà in assoluto, e non nella relazione ad uno spazio capiente, è anche la qualità della scultura negra. Cèzanne e i negri erano i due estremi tra cui Picasso situava il problema storico dell'arte moderna."<br />
----<br />
Il concetto dello "sferoide", da te spiegato, mi si è chiarito visionando il quadro di Cèzanne che mi hai consigliato "Donne al bagno" (altro titolo dello stesso quadro: "Le grandi Bagnanti"), ma anche quadri di altri pittori, che però cito solo a titolo accademico: Matisse - La gioia di vivere.<br />
<br />
Per quanto riguarda l'altra "Pietra Miliare", tempo fa, un titolo del Corsera declamava Alberti come l'"inventore" di quello stile andato in voga per 4 o 5 secoli.</em></div>marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-20312587971585122402010-02-20T16:44:00.004+01:002010-02-27T13:46:14.249+01:00Emozioni di un giorno qualunque<a style="MARGIN-BOTTOM: 1em; FLOAT: left; CLEAR: left; MARGIN-RIGHT: 1em; cssfloat: left" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIt6uDUFDly4AM2xst_BuwRKblCEc8hKiT_WscXx-Zzj1QF3eX-Zv0ayfOAI_SBKcSbqNodPgJfFUjpnGhEprQCPFzw1gHl0PS8JH5sbx4ODcbQ3-hL_9CzJXDjDqapljHNhfzUV36ZWa0/s1600-h/P2202058.JPG"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; DISPLAY: block; HEIGHT: 240px" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5440340403478506226" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIt6uDUFDly4AM2xst_BuwRKblCEc8hKiT_WscXx-Zzj1QF3eX-Zv0ayfOAI_SBKcSbqNodPgJfFUjpnGhEprQCPFzw1gHl0PS8JH5sbx4ODcbQ3-hL_9CzJXDjDqapljHNhfzUV36ZWa0/s320/P2202058.JPG" /></a><br /><div style="TEXT-ALIGN: justify">Mattinata ricca di emozioni, questa. Dopo una nottata travagliata, ero riuscito a prender sonno all'alba, quando sono stato svegliato di soprassalto alle 8.20 da un urlo di stupore. Mia moglie, che solitamente dà poca importanza a questo genere di spettacoli della natura, aveva lanciato quell'urlo di stupore: "Vieni a vedere il <strong>Monte Rosa", </strong>mi ha detto<strong>.</strong> </div><div style="TEXT-ALIGN: justify">In effetti, col suo candido color bianco luminescente sembra quasi voler dominare sulle <strong>Prealpi</strong> antistanti, che invece sono grigioscure/nere. In effetti, dal 9 dicembre dell'anno scorso, non avevo più visto il <strong>Monte Rosa </strong>in quella luminosa bellezza ( <a href="http://ecopolfinanza.blogspot.com/2009/12/monte-rosa-visto-da-milano.html">vedi qui </a>). Le due foto, sopra e di seguito, scattate stamattina alle 9.45 ne danno un'idea.</div><div style="TEXT-ALIGN: justify">La mattinata è poi proseguita con altre emozioni: quelle che mi ha procurato <strong>Canale 5</strong>, con la trasmissione delle 8.5o del sabato<strong>:<a href="http://www.tv.mediaset.it/quimediaset/articolo_301.shtml"> Il Loggione </a></strong>.</div><div style="TEXT-ALIGN: justify">Come più volte raccontato all'amico <strong>Sarcastycon</strong>, le mie operazioni di risveglio, di vestizione, e di alzata dal letto, a causa del mio noto e non più celabile "acciacco", durano in media dalla mezz'ora all'ora, a seconda della giornata, poichè la mia, come quella di altri 56000 italiani è una malattia a carattere intermittente, nel senso che ci sono giornate che ti c<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjT_Zc2eVWDnRJbmXNt5G_8Hd02kAfq-UWyAsU2PMUT9dk9jaR9nMYl5lpbWAGqhnKKcJ136p_KxgERa_wA2lx-fQnYs5xfhmE_KxeFsbebh1D_EpVEH93wgYcGDuBNVx0XiLu9Sc4dlvC/s1600-h/P2202057.JPG"><img style="MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 320px; FLOAT: right; HEIGHT: 240px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5440339752991002146" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjT_Zc2eVWDnRJbmXNt5G_8Hd02kAfq-UWyAsU2PMUT9dk9jaR9nMYl5lpbWAGqhnKKcJ136p_KxgERa_wA2lx-fQnYs5xfhmE_KxeFsbebh1D_EpVEH93wgYcGDuBNVx0XiLu9Sc4dlvC/s320/P2202057.JPG" /></a>oncede qualche forza in più, per farti fare in minor tempo ciò che solitamente richiede la "pazienza di Giobbe". La trasmissione del sabato, Il Loggione, mi è di grande compagnia durante tali operazioni, perchè la sua presenza mi fa pesare di meno l'acciacco. Un plauso, quindi, all'ideatore e conduttore del programma<strong> Vittorio Testa</strong>, che ha nel mio amico, <strong>Pietro</strong>, invalido, uno tra i suoi più grandi estimatori. Costui è un eccellente lirico, che conosce a memoria testi e musica di almeno dieci opere (ma è arrivato a conoscerne molte di più). <strong>E' un'enciclopedia vivente: basta chiedergli come fa la tal'aria, e lui subito la intona</strong><strong>.</strong> Le ha tutte imparate a memoria durante le lunghe e periodiche degenze in ospedale. La lirica, come spesso mi racconta, è stata la sua salvezza, dopo un incidente stradale, che, per colpa altrui, lo aveva ridotto al coma profondo per 7 giorni e mezzo. La lirica gli ha ridato la "voglia di vivere", più di prima, più di quand'era arzillo e atletico; una voglia di vivere la vita che è bella a prescindere <strong>"<em>comunque sia la condizione del vivere</em>":</strong><em> </em>sono le parole che spesso mi ripete<strong>. Tutto ciò lui l'ha trovato anche nella lirica</strong>, ecco perchè segue a puntino il programma (e poi ogni volta mi fa una sorta di interrogatorio). Quando non può vederlo in diretta se lo fa registrare, non sapendo che ora, tramite <strong>internet, Mediaset</strong> fornisce la possibilità di rivederle quando si voglia.</div><div style="TEXT-ALIGN: justify">Parlo entusiasticamente del programma <strong>Il Loggione </strong>di oggi, perchè questa mattina mi ha condotto in due luoghi che fanno ormai parte del mio vissuto:<strong> Venezia e Arona, </strong>e mi ha condotto a perlustrare due eventi per me significativi: <strong>Il Barbiere di Siviglia, </strong>alla <strong>Fenice </strong>di <strong>Venezia </strong>e <strong>la mostra dedicata a De Chirico</strong>, ad <strong>Arona. </strong></div><div style="TEXT-ALIGN: justify">Di Arona, in particolare, ne scrivo oggi, mentre parlo del Monte Rosa, perchè essa si trova quasi a metà strada, in linea retta, tra me e il Monte Rosa; sembra quasi al di là di quel campanile che si intravvede dalla foto <strong><em>(cliccare sopra per ingrandirla).</em></strong> Ad Arona è in corso una mostra dedicata a <strong>Giorgio de Chirico, </strong><em>principale</em> <em>esponente della corrente ar<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi48n9SuGxIpaIuSrf8nNL6C8A27TY2e03ZDOMg51BC_nZFIfXR67rjubyMbz_mWifDROFAD6c04GoWu8iAeAYLThVb3749ZPHIEPf76yqvFqddag4TBFZWg9XAX5NJ9-9kfpDB5lFIPdUF/s1600-h/piazza+d%27italia.jpg"><img style="MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; FLOAT: left; HEIGHT: 242px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5440330755135581170" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi48n9SuGxIpaIuSrf8nNL6C8A27TY2e03ZDOMg51BC_nZFIfXR67rjubyMbz_mWifDROFAD6c04GoWu8iAeAYLThVb3749ZPHIEPf76yqvFqddag4TBFZWg9XAX5NJ9-9kfpDB5lFIPdUF/s320/piazza+d%27italia.jpg" /></a>tistica della<strong> pittura metafisica.</strong></em></div><div style="TEXT-ALIGN: justify">Alla mostra, in svolgimento a <strong>Villa Ponti di Arona, fino al 28 marzo, sono esposti 130 capolavori del maesto</strong>. La copertina del catalogo, che Vittorio Testa teneva gelosamente sotto braccio durante la trasmissione del Loggione, mentre parlava della mostra, raffigura una delle tante <strong>piazze italiane </strong>dipinte da <strong>De Chirico, </strong>nello stile <strong>metafisico</strong>. Quello stile che aveva per un certo periodo influenzato vari pittori italiani dell'epoca, tra i quali<strong> Vittorio Viviani</strong>. Tra le opere di Viviani, celebre pittore di Nova Milanese, che mi degnò della sua entusiastica amicizia, ve ne sono un discreto numero catalogate nel suo periodo <strong>Metafisico</strong>. Tra le sue più importanti opere di quel periodo, ed anche tra le sue più belle, vi è senza dubbio una stupenda<strong> piazza della Basilica di Desio, dove essa è immortalata sullo sfondo.</strong> Dipinta negli anni trenta, ora di proprietà privata, costituisce la copertina di una delle sue più ben fatte biografie, risalente agli anni '80, quando il pittore era ancora in operosa vitalità.</div><div style="TEXT-ALIGN: justify"><br /></div><div style="TEXT-ALIGN: justify">Dulcis in fundo: la lirica.</div><div style="TEXT-ALIGN: justify">Trasmesso da<strong> La Fenice </strong>di <strong>Venezia, Il Barbiere di Siviglia </strong>è l'opera che forse più di tutte ha contribuito alla mia passione per la lirica. La celebre aria di <strong>Figaro</strong>, conteso e richiesto da tutti, l'ha oggi magistralmente cantata il baritono<strong><a href="http://www.allegorica.it/christian_senn/christian_senn.htm"> Christian Senn </a>. </strong>Quand'ero piccolo la sentivo invece spesso cantare da un mio zio, il quale, se non fosse stato per la sua innata timidezza, sarebbe oggi annoverato tra i grandi interpreti della lirica italiana. </div><div style="TEXT-ALIGN: justify"></div><div style="TEXT-ALIGN: justify"></div><div style="TEXT-ALIGN: justify"><span style="font-size:78%;">Le due foto sopra, sono dell'autore, e sono state scattate alle 9.45 di oggi.</span></div><div style="TEXT-ALIGN: justify"><span style="font-size:78%;">La foto sotto è di </span><a href="http://www.fenice.org/"><span style="font-size:78%;">www.fenice.org</span></a><span style="font-size:78%;"> cui viene chiesto il permesso a pubblicare.</span></div><div style="TEXT-ALIGN: justify"><span style="font-size:78%;">All'amico Pietro è stata richiesta l'autorizzazione a pubblicare la sua storia, il cui incidente è avvenuto nel 1985.</span></div><br /><object width="425" height="344"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/K6Bgl01jZ8Y&hl=it_IT&fs=1&"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/K6Bgl01jZ8Y&hl=it_IT&fs=1&" type="application/x-shockwave-flash" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" width="425" height="344"></embed></object>marshallhttp://www.blogger.com/profile/18114663981457754109noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-49056285413196994212010-02-11T05:31:00.003+01:002010-02-11T05:43:02.206+01:00Si moriva per una mela. Memorie dal lager di Tito.di Matteo Sacchi<br />
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<div style="text-align: justify;">Rossi Kobau fu prigioniero a Borovnica per due anni. E racconta: "Tutti sapevano delle foibe, nessuno parlava". Ottantanove militari sono scomparsi in un buco del terreno distrutto con l'esplosivo</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Lionello Rossi Kobau, classe 1926, abita in una bella casa milanese vicina ai navigli. Nello sguardo intenso, ma con un guizzo di ironia, gli resta l’aria del giovane che fu, del soldato ragazzino che si arruolò a diciassette anni nel battaglione Benito Mussolini dei Bersaglieri della Rsi. Sì, Lionello Rossi Kobau ha scelto di combattere dalla parte sbagliata, lo ha fatto in un’età che per definizione non è ancora quella della ragione ma quella del cuore, della rabbia, a volte dell’orgoglio. A tanti anni di distanza, seduto nel suo salotto dove lo costringono le sue anche malandate, quella decisione la racconta così: «Quando si parla dell’8 settembre e delle scelte che hanno fatto le persone non si ragiona mai a partire dai luoghi. Io ero nato e vissuto a Monfalcone. E in Venezia Giulia più che scegliere tra un’ideologia o l’altra si trattava di scegliere se restare italiani o accettare l’idea di un’occupazione slava. Io ho scelto di essere italiano, il resto è stata una conseguenza... Questo lo scoprirono, dolorosamente, anche coloro che scelsero di essere partigiani ma non vollero piegarsi alla volontà di occupazione dei titini». E proprio questa scelta di italianità ha portato Lionello Rossi Kobau a essere uno dei pochi testimoni superstiti degli atroci campi di concentramento jugoslavi tra cui quello di Borovnica. Campi in cui finirono non solo i «fascisti» della Rsi, non solo i poliziotti o i carabinieri, ma anche civili, partigiani, chiunque avesse un cognome italiano. «Quello che è capitato a me e tanti altri - spiega Rossi Kobau - io l’ho messo subito per iscritto. Ogni volta che trovavo un pezzo di carta prendevo appunti. Ma poi per anni non ho avuto nemmeno il coraggio di pensarci. Ho trasformato tutto in un libro solo nel 2001 (Prigioniero di Tito 1945-1946, Mursia, euro 12,40, ndr). Prima in pochi avrebbero avuto voglia di ascoltare la mia storia. E del resto tornare a pensarci mi ha prodotto una grande sofferenza, anch’io per anni ho preferito non guardare indietro...». E ascoltando il suo racconto questo desiderio appare più che comprensibile. «Il mio battaglione si è arreso ai titini il 30 aprile del 1945. Ci avevano promesso l’onore delle armi e un rapido rientro in patria. Noi ci abbiamo creduto: avevamo operato nella valle del Baccia, dove con la popolazione slovena avevamo stabilito rapporti più che cordiali nonostante la necessità di scontrarci con i partigiani che spesso erano loro parenti. Ma già il 3 maggio abbiamo capito di esserci sbagliati. Ci hanno portato a Tolmino, dove sono iniziati degli interrogatori brutali. Quello che potevi fare era solo cercare di scegliere la fila che portava alla stanza da cui sentivi urlare di meno... Cercavano di farci confessare qualcosa, qualsiasi cosa... Ma non erano gli sloveni con cui avevamo avuto a che fare a comportarsi così. Anzi, molte persone vennero dalla Valle del Baccia a portarci da mangiare.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Mancando delle accuse di qualsiasi tipo i partigiani venuti da fuori dovettero inventarsi qualcosa, qualsiasi cosa. E così uccisero a caso, portarono via 89 di noi. In parte li impiccarono, in parte li buttarono in una foiba, la fecero saltare con loro dentro...». Ma anche per i superstiti iniziò un’odissea tremenda. «Fummo portati al campo di Borovnica e lasciati morire di fame. In pochi giorni mangiammo tutta l’erba... Quando nel campo non ci fu più niente di verde qualcuno iniziò ad allungare le mani fuori dal recinto, i ragazzini che stavano sulle torrette gli sparavano addosso... E a noi toccava prendere i cadaveri e buttarli nelle latrine o nei canali vicini al campo...». E se gli abitanti di Borovnica, impietositi, cercavano di aiutare gli italiani, questo a volte era più un male che un bene: «Ci sono miei compagni di prigionia che sono stati appesi al palo con il filo spinato perché sono stati trovati con una mela. E dopo ore di tortura sono stati fucilati. Di alcuni ricordo i nomi: Fernando Ricchetti, Giuseppe Spanò... Di altri no, come un civile a cui venne spezzata la schiena...». Questa feroce macelleria con alti e bassi dura, per chi sopravvive e non viene rimpatriato prima, sino al 1946.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">«E lo ribadisco: per finire in questi campi bastava essere italiani, ho incontrato lì anche un ragazzo ebreo che si chiamava Davide e che aveva la sfortuna di parlare italiano. Ho incrociato anche partigiani della Garibaldi buttati lì con noi, uno che si chiamava Mario mi diceva: “Ma ti pare giusto che sia qui con te che la guerra l’hai persa?”. Io non sapevo cosa dirgli, a quel punto eravamo tutti solo poveri italiani. Spero si sia salvato». E la cosa più grave, secondo Lionello Rossi Kobau, è che di quei prigionieri non importava nulla a nessuno: «In Italia si sapeva, sia per le testimonianze di alcuni dei primi che tornarono sia per le denunce del vescovo di Trieste... Sarebbe bastato mandare del cibo per maiali e un po’ di pressione diplomatica degli alleati per salvare molti dalla morte per fame... Gli jugoslavi non avevano quasi più nulla e quel poco non lo davano certo a noi... Tutti però erano troppo impegnati a suonare il violino a Tito per staccarlo da Stalin. Devo anche dire che a Borovnica c’era un commissario politico che si chiamava Anton Markovic e veniva da Dobrovo. Contestò molti dei soprusi che subivamo, litigò furiosamente con i comandanti del campo ma venne ignorato sistematicamente. Fu comunque uno dei pochi che cercò di far qualcosa...».</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Ma ci sono anche eventi più recenti che fanno soffrire questo reduce da un’esperienza così terribile. «Ritrovare i corpi dei morti nel campo do Borovnica è quasi impossibile. I bersaglieri che invece vennero uccisi e infoibati vicino a Tolmino quelli sarebbe possibile ritrovarli. Ci provo dal 2006 anche grazie all’aiuto di alcuni abitanti. Ma le autorità slovene danno un aiuto formale e molto poco sostanziale. Si limitano a dire: voi diteci dove scavare e noi scaviamo. Quanto al Commissariato generale italiano per le onoranze ai caduti di guerra, i suoi vertici cambiano spesso e questo rende il lavoro discontinuo e sino a ora infruttuoso. E io divento sempre più vecchio e più stanco... Nel 2008 mi sono fatto accompagnare a Tolmino da mio figlio (il noto comico Paolo Rossi, ndr). Abbiamo idee politiche diverse, ma in questa vicenda mi ha sempre aiutato. Quando ha visto il paese mi ha detto: “Qui è pieno di turisti che vanno a pesca, sembra la Svizzera, non credo vogliano ricordare quel passato, non lo vogliono un cippo. Forse nemmeno per i loro...”. Temo avesse ragione, anche se io non voglio arrendermi».</div>Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-79818621137228661512010-02-10T20:43:00.003+01:002010-02-10T20:47:29.740+01:0010 febbraio il giorno della memoria<span style="color: blue; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: x-large;"><strong>Tra i figli dell’esodo c’è anche Marchionne</strong></span><br />
<span style="color: blue; font-family: Verdana, sans-serif; font-size: large;"><em><strong>di Fausto Biloslavo</strong></em></span><br />
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span><br />
<div style="text-align: justify;"><em><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: large;">La madre del manager Fiat costretta ad abbandonare il suo paese dopo una serie di tragiche vessazioni. La pulizia etnica era cominciata nel 1943. E la famiglia fu duramente colpita</span></em></div><br />
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<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong>Zucconi - «Sergio me lo ricordo fin da piccolo, quando mi aiutava a pascolare i manzi. Il nonno non l’ha mai conosciuto, perché è stato infoibato dai partigiani di Tito. Con sua mamma, Maria, sono legata da sempre. L’ho sentita l’ultima volta il 17 gennaio, quando ha compiuto 84 anni, per farle gli auguri. Con la sorella Anna sono andate esuli in Canada, ma non ci hanno mai dimenticato». Parla in dialetto veneto, Maria Zuccon, la zia acquisita di Sergio Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat. Si sapeva delle sue origini abruzzesi e della vita da adolescente in Canada, ma nelle vene del supermanager scorre anche sangue istriano. Non solo: la famiglia materna di Marchionne ha provato sulla sua pelle la tragedia delle foibe e dell’esodo. </strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong>Solo un fratello, Martino, non se ne è andato dopo la guerra sposando Maria, che ci accoglie nel «fogoler» di una tipica casa istriana. «La mamma di Sergio si chiama anche Maria ed è nata proprio in questa casa» spiega la zia del supermanager. Occhi azzurri, capelli color argento e scialle sulle spalle, lei è rimasta a Zucconi, il nome in italiano del villaggio di poche case preso dalla famiglia.. «Un tempo eravamo un centinaio, ma adesso siamo al massimo 40» sospira la signora Maria. Ad una manciata di chilometri da Pola, tutta quest’area con una forte presenza italiana fino al dopoguerra si è svuotata con l’esodo. Prima ancora, a causa dell’armistizio del 1943, le bande partigiane hanno fatto la prova generale della pulizia etnica. E la famiglia materna di Marchionne è finita nel mirino. </strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong>«Giacomo, il nonno di Sergio, era un gran lavoratore. A Carnizza, tre chilometri da qui, aveva messo in piedi un negozio sotto casa» racconta zia Maria. «Non ha mai fatto del male a nessuno» ribadisce la signora, classe 1925. Nel Ventennio chi voleva la licenza commerciale doveva automaticamente iscriversi al partito fascista. La zia di Marchionne ripete, però, «che Giacomo non ha mai portato la camicia nera». L’8 settembre 1943 il regio esercito si sbanda. In Istria si crea un pericoloso vuoto di potere. I partigiani di Tito spuntano dai boschi e vanno a prendere i «nemici del popolo».</strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong>«Sono andati di notte a casa sua legandogli i polsi con il filo di ferro. Nel paese ne hanno presi sei. Un ingegnere, che aveva fatto solo del bene, ma pure il macellaio - spiega la testimone -. Nella banda c’era un capo comunista ideologizzato, ma in realtà chi aveva debiti con il negozio di Giacomo ne ha approfittato per farlo fuori». </strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong>Gli ostaggi spariscono nel nulla. «Anna, la sorella di Maria che adesso è con lei in Canada, non si dava pace. Voleva salvare il papà. Qualcuno li aveva visti portati via in fila indiana», racconta Maria. Il fratello Giuseppe, appena tornato a casa dopo il ribaltone dell’8 settembre, si è pure lanciato nelle ricerche. Purtroppo è finito in un rastrellamento dei tedeschi, che stavano riconquistando l’Istria con il ferro e con il fuoco. Scambiato per un partigiano o un disertore l’hanno passato per le armi. </strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong>«Ma Anna non si è data per vinta. Il padre, assieme ad altri, era stato buttato nella foiba di Trlji, a cinque chilometri da questa casa. È andata a Pola e ha convinto i pompieri a recuperare le salme» spiega zia Maria. «Sull’orlo della foiba, quando tiravano fuori i corpi tumefatti Anna diceva non è lui, non è lui... - ricorda la signora Zuccon -. Poi ha avuto un sussulto davanti ad un corpo irriconoscibile. Questo è mio padre. L’ha riconosciuto dai bottoni della giacca che lei stessa aveva cucito». </strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong>Il nonno materno di Sergio Marchionne è finito in foiba, ma l’Istria non ha portato solo disgrazie. I suoi genitori si sono conosciuti proprio a Carnizza. Il padre Concezio prestava servizio nella stazione dei carabinieri. La mamma Maria si è subito innamorata del giovane in divisa dell’Abruzzo. Concezio è stato trasferito prima in Slovenia e poi a Gorizia «a “difendere” i confini dall’invasione comunista» scrive Marco Gregoretti nell’Uomo dal maglione nero, un libretto di successo sull’ad Fiat. La futura consorte va dai parenti del marito in Italia scampando alla pulizia etnica dei titini. La sorella Anna vorrebbe raggiungerla. Alla fine della Seconda guerra mondiale la situazione precipita. I titini riprendono la pulizia etnica lasciata a metà nel 1943. Di fronte alle violenze 350mila italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia scappano verso la madre patria. «Un giorno Anna ha preso la sua bicicletta, con solo due borse in mano. È andata a Pola per imbarcarsi sull'ultimo piroscafo per l’Italia» racconta con emozione zia Maria. </strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong>I genitori di Sergio si sposano dopo la guerra e vanno a vivere a Chieti dove nel 1952 nasce il futuro supermanager. L’esule Anna Zuccon va per prima in Canada, seguita dalla famiglia Marchionne, che vuole far studiare meglio il figlio. In Istria restano gli zii Martino e Maria. «Sono venuti a trovarmi per la prima volta dopo la guerra quando Sergio aveva 3 anni. Non c’era né luce né acqua corrente. Sergio lo lavavamo nella “mastela” con l’acqua della cisterna assieme ai miei figli» racconta sorridendo Maria. Il giovane Marchionne si diverte durante le vacanze in Istria. «Mi aiutava a portare i manzi. Gli piaceva usare il frustino per indirizzarli e non voleva mollarlo neppure quando andava a dormire. Da più grande mi diceva sempre: zia se continui a lavorare così nei campi andrai a finire al camposanto».</strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong></strong></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><strong>Dalla Fiat fanno sapere che l’amministratore delegato «da bambino sentiva spesso i racconti della mamma e della zia profughe dall’Istria». Nel libro di Gregoretti, un cugino abruzzese ha fatto notare che sul polso del suo inconfondibile maglione Marchionne si è fatto ricamare un piccolo stemma tricolore. Con l’ascesa di Marchionne i legami con i parenti rimasti in Istria si sono rarefatti, ma non cancellati. «Sergio è venuto anche dalla Svizzera con sua moglie ed i due figli per farceli conoscere» racconta Maria. «Adesso lo vedo in televisione. Dicono che sia uno dei manager più importanti al mondo - spiega zia Maria -. Ma per me rimarrà il ragazzino con i lineamenti della mamma. Sergio è una persona semplice e cara che tengo sempre nel mio cuore».</strong></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif; font-size: large;"><span style="font-size: small;"><strong><a href="http://www.faustobiloslavo.eu/">http://www.faustobiloslavo.eu/</a></strong></span> </span></div><div style="text-align: justify;"><br />
<span style="font-size: large;">post inviato da Luchy</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div>aquaeductushttp://www.blogger.com/profile/01977847432854549767noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-84656312954185573742010-02-10T16:21:00.002+01:002010-02-10T16:30:06.976+01:00LA GIORNATA DEL 10 FEBBRAIO<div style="text-align: justify;">La commemorazione del 10 febbraio ricorda una delle più grandi tragedie italiane di sempre, quella delle Foibe e dell’Esodo dalla Dalmazia e dalla Venezia Giulia, dell’uccisione di 30.000 italiani, della cacciata di altri 350.000, e di altri 50.000 ancora rinchiusi nei gulag jugoslavi. Tutto questo avvenne ad opera degli slavo-comunisti di Tito, con la cooperazione fattiva o l’ignavia dei comunisti italiani del PCI.</div><div style="text-align: justify;">La data prescelta è quella del <em>Trattato di pace </em>di Parigi, che nel 1947 sancì la perdita dei territori italiani della Dalmazia, di Fiume, dell’Istria, del Quarnaro </div><div style="text-align: justify;">Le foibe hanno rappresentato un’autentica pulizia etnica progettata con lucidità e con grande anticipo dal governo di Belgrado, dal suo dittatore, il “maresciallo” Tito, dal suo ministro degli Esteri, Kardelj, e da un altro ministro ed amico personale di Tito, Vasa Cubrilovic, autori di due veri e propri manuali che contenevano le istruzioni per compiere genocidi ai danni delle popolazioni “etnodiverse” presenti nella stato socialista jugoslavo.</div><div style="text-align: justify;">L’invasione delle terre italiane, ed il successivo genocidio, furono favoriti dai comunisti italiani. La brigata partigiana “Osoppo”, costituita da partigiani “bianchi” cattolici e favorevoli alla difesa dei confini nazionali dall’invasione, fu sterminata col tradimento e l’inganno da partigiani comunisti. Togliatti ed il PCI si accordarono con Tito per la cessione di tutte le terre italiane sino al Tagliamento, obbedendo certamente ad ordini di Stalin ed aspirando ad estendere il più possibile i domini del “socialismo reale”. Gli anti-fascisti italiani non comunisti furono emarginati dal PCI, poi uccisi per primi dagli slavo-comunisti. Il PCI orchestrò poi una campagna stampa contro gli esuli, e difese in ogni modo in parlamento ed in campo internazionale gli interessi e le ambizioni territoriali del dittatore Tito.</div><div style="text-align: justify;">Gli Italiani vittime delle Foibe furono di ogni idea politica, di ogni classe sociale, di ogni età: fascisti ed anti-fascisti, ricchi e poveri, religiosi ed atei, uomini e donne, vecchi, adulti, bambini. Gli Italiani, dopo aver subito gravissime sevizie (umiliazioni, percosse, stupri, evirazioni; alle donne incinte venivano squarciati i ventri e i feti erano infilzati come trofei su dei pali), venivano legati con del filo spinato gli uni agli altri, e messi in fila. Il capofila veniva poi posto all’imboccatura di una foiba quindi veniva fucilato oppure scaraventato nel vuoto, trascinando con sé gli altri a lui legati. Il rituale era completato frequentemente da un cane nero gettato ancor vivo nella foiba, in osservanza ad una superstizione del folklore balcanico, secondo cui esso avrebbe impedito alle vittime di “ritornare” per vendicarsi.</div><div style="text-align: justify;">Un calcolo esatto e completo del numero delle vittime è impossibile, perché moltissimi corpi furono gettati in mare, o seppelliti in foibe rimaste ignote, o rimasti in Jugoslavia nei cimiteri dei gulag. Tuttavia, la cifra più probabile si attesta attorno ai 30.000. Tale somma la si può ottenere dal numero di abitanti italiani presenti nei territori invasi dagli slavo-comunisti e poi scomparsi senza lasciare tracce. Inoltre, la stima del numero di vittime presenti nelle foibe accertate (almeno 67), sommata a quella degli italiani morti nei gulag di Tito, ed ai resoconti di altre uccisioni consente di giungere all’incirca alla stessa cifra, che deve quindi ritenersi quella più verosimile.</div><div style="text-align: justify;">Gli esuli furono circa 350.000, e 50.000 gli Italiani che trascorsero molti anni nei campi di concentramento jugoslavi: Borovnica, Skofja Loka, Osseh, e ancora Stara Gradiska, Siska, e poi Goh Otok, l’Isola Calva. Alcuni vi rimasero sino agli anni Sessanta. Fra gli italiani rinchiusi nei gulag di Tito, alcuni erano dei superstiti dei lager tedeschi e, per loro testimonianza, i campi comunisti erano molto peggiori di quelli nazisti. Sui 5.000 Italiani deportati a Goli Otok, 4.000 morirono.</div><div style="text-align: justify;">Dopo tutti questi eventi, per 50 anni calò un intenzionale silenzio su ciò che era accaduto. Gli esuli furono emarginati e dimenticati, così come la loro storia. Lo studioso Gianni Oliva nel suo libro “Foibe” ha scritto: «A sessant’anni dagli avvenimenti delle foibe e degli infoibati restano ancora una strage negata esclusa dalla coscienza collettiva della nazione […]. Con legge 92/2004 l’Italia ha riconosciuto ed ha istituito il 10 febbraio come il “Giorno del Ricordo” in memoria delle vittime delle foibe e degli esuli istriani, giuliani e dalmati. Lo scopo della legge è stato quello di ridare quella dignità e riconoscimento, mancato per lunghi anni, a chi fu tragicamente ucciso, ma anche a tutti i sopravvissuti che furono costretti ad abbandonare le loro case per fuggire dai massacri per mantenere la propria identità di essere italiano.” </div><div style="text-align: justify;">Questa memoria continua ad essere purtroppo ancora oggi osteggiata da chi, del tutto assurdamente, nega o giustifica quello che è avvenuto. Pertanto, dinanzi a simili fatti, ed ai ricorrenti e sbagliati tentativi di nasconderli, è un imperativo morale la memoria delle Foibe e dell’Esodo.</div><div style="text-align: justify;">IL suo ricordo dovrebbe appartenere al patrimonio collettivo della Nazione italiana, senza distinzione di partito o di idee politiche.</div><div style="text-align: justify;">E' un atto di giustizia verso i morti ed i profughi, ma è anche un monito a tutti noi, perché quel che è accaduto in passato può avvenire ancora in futuro.</div>Marco De Turrishttp://www.blogger.com/profile/16326597724723064689noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1871675779161104197.post-57354707133112596552010-02-07T16:16:00.003+01:002010-02-07T16:38:21.456+01:00LE FOIBE ED IL PROGRAMMA DI STERMINIO DEGLI ITALIANI<div style="text-align: justify;">La figura di Vasa Cubrilovic e dei suoi due manuali di puliza etnica dimostra in modo inconfutabile l’erroneità delle tesi di chi, ancora oggi, nega, minimizza o giustifica il genocidio italiano in Venezia Giulia e Dalmazia, compiuto dai comunisti di Tito.</div><div style="text-align: justify;">Infatti, i piani operativi stesi dal Cubrilovic, altissimo personaggio del regime socialista jugoslavo ed amico personale di Tito, provano ulteriormente come la Jugoslavia avesse programmato con largo anticipo un’operazione di “ingegneria etnica” in Venezia Giulia, oltre che in altre regioni allogene su cui aveva delle mire.</div><div style="text-align: justify;">Nel 1936, quindi anteriormente alla guerra mondiale ed alla salita al potere di Tito, il Cubrilovic aveva redatto un testo chiamato <em>Iscljavanje Arnauta</em>, cioè <em>Piano di allontanamento degli albanesi</em>, nel quale suggeriva una serie di misure per estirpate gli odiati “Arnauti”, appunto gli Albanesi, dal Kosovo. (sui fortissimi contrasti interni alla Jugoslavia monarchica cfr. ad esempio Jacob Hoptner, “<em>Yugoslavia in Crisis, 1934-1941</em>”, New York 1962, nel quale si documenta la realtà di un sistema statale essenzialemente serbocentrico dilaniato dagli opposti nazionalismi delle varie etnie facente parte della Jugoslavia. Sull’argomento dei nazionalismi jugoslavi è notevole, fra gli altri, lo studio di K. Boeckh, “<em>Von den Balkankrieg zum Ersten Weltkrieg. Kleinstaatenpolitik und ethnische Selbsbestimmung auf dem Balkan</em>”, München 1996). E’ degno di nota come, di fatto, il manuale Cubrilovic, opportunamente modificato a seconda delle esigenze del tempo, abbia poi trovato effettiva applicazione in terra kosovara ad opera di Milosevic nell’ultimo conflitto balcanico.</div><div style="text-align: justify;">Il Cubrilovic indicava una serie di misure precise per scacciare gli “etnodiversi”:</div><div style="text-align: justify;">1) leggi discriminatorie a loro danno, tali da indurli ad andarsene</div><div style="text-align: justify;">2) Misure strettamente economiche: tassazioni, espropri, prestazioni lavorative forzose, ritiro delle licenze commerciali, licenziamenti di massa dei membri delle etnia “ostile”</div><div style="text-align: justify;">3) Misure di ordine religioso: arresto o cacciata del clero, distruzione di edifici di culto e cimiteri, impedimenti frapposti al libero esercizio del culto ecc.</div><div style="text-align: justify;">4) la costituzione di reparti para-militari di civili armati, tratti dall’etnia dominante ed inviati nella regione al fine di terrorizzare e vessare gli abitanti locali</div><div style="text-align: justify;">5) il compimento di stragi, arresti e deportazioni di massa, al fine di creare una “psicosi dell’evacuazione” (questa è l’espressione adoperata dal Cubrilovic) ed indurre gli “etnodiversi” ad andarsene.</div><div style="text-align: justify;">6) l’intera operazione doveva essere ben pianificata ed organizzata dall’alto, da parte del governo e dello stato maggiore, e con l’ausilio non solo dell’esercito e della polizia, ma persino di altri organismi, come, ad esempio, i sindacati.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Cubrilovic poi nel 1944 scrisse un suo secondo memorandum, che s’intitola “Il problema delle minoranze nella nuova Jugoslavia” [<em>Manjinski problem u novoj Jugoslaviji</em>]. Esso riprendeva la sostanza del piano del primo, mentre la differenza principale è che non era più rivolto verso gli Albanesi, bensì in direzione di tutte le minoranze non jugo-slave che sarebbero state incluse nei territori della nuova repubblica socialista. </div><div style="text-align: justify;">Cubrilovic si espresse con la massima chiarezza riguardo agli Italiani della Dalmazia, dell’Istria, di Trieste e Gorizia, che andavano tutti cacciati, per conquistare anche etnicamente e non solo politicamente tali territori. Egli formulò proprio l’espressione di “conquista etnica”, mediante cacciata degli Italiani seguita da colonizzazione slava. Questo comunista serbo giunse a scrivere che la Jugoslavia era autorizzata dal “diritto del vincitore” ad obbligare l’Italia a riprendersi i suoi connazionali di Istria e Dalmazia.</div><div style="text-align: justify;">Il Cubrilovic, <strong>passato dal nazionalismo serbo al comunismo titino, divenne ministro di Tito e suo amico personale, ed in tal modo potè essere dei maggiori artefici delle numerose operazioni di “pulizia etnica”</strong> compiuta dalla Jugoslavia comunista. Esse colpirono non solo la Venezia Giulia e la Dalmazia, cioè gli Italiani, ma anche la Carinzia (Tedeschi), il “triangolo ungherese” (Magiari), e la Dobruja (Bulgari). </div><div style="text-align: justify;">Il ruolo di questo individuo in tali operazioni di pulizia etnica risulta provato da una serie di fattori decisivi. </div><div style="text-align: justify;">-il ruolo di ministro; </div><div style="text-align: justify;">-l’amicizia personale con Tito: </div><div style="text-align: justify;">-la corrispondenza fra le istruzioni dei suoi manuali e la realtà concreta della pulizia etnica,</div><div style="text-align: justify;">-infine, argomento davvero risolutivo, una documentazione d’archivio dello stato jugoslavo, oggi reperita, che riporta le sue direttive in merito alla cacciata di massa delle etnie non jugo-slave dai territori occupati dalla Jugoslavia.</div><div style="text-align: justify;">L’esistenza del piano orchestrato da Cubrilovic, ben prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, e destinato in origine ad essere applicato contro gli Albanesi, <strong>è un’ulteriore prova di come gli eventi del 1943-1945 in Venezia Giulia possano essere compresi unicamente quale una pulizia etnica orchestrata dall’alto</strong>, da Tito stesso, sulla base di un piano ben preciso.</div><div style="text-align: justify;">Questa dittatura era assieme socialista e nazionalista, ed operò la sua repressione totalitaria in una <strong>duplice direzione</strong>: verso gli <strong>oppositori politici </strong>da una parte, verso le <strong>etnie “estranee”</strong> dall’altra. Si ebbe così una vera ecatombe di nemici ideologici, ed assieme la cacciata in massa di tutti coloro che non erano ritenuti jugo-slavi.</div>Marco De Turrishttp://www.blogger.com/profile/16326597724723064689noreply@blogger.com17