mercoledì 10 febbraio 2010

LA GIORNATA DEL 10 FEBBRAIO

La commemorazione del 10 febbraio ricorda una delle più grandi tragedie italiane di sempre, quella delle Foibe e dell’Esodo dalla Dalmazia e dalla Venezia Giulia, dell’uccisione di 30.000 italiani, della cacciata di altri 350.000, e di altri 50.000 ancora rinchiusi nei gulag jugoslavi. Tutto questo avvenne ad opera degli slavo-comunisti di Tito, con la cooperazione fattiva o l’ignavia dei comunisti italiani del PCI.
La data prescelta è quella del Trattato di pace di Parigi, che nel 1947 sancì la perdita dei territori italiani della Dalmazia, di Fiume, dell’Istria, del Quarnaro
Le foibe hanno rappresentato un’autentica pulizia etnica progettata con lucidità e con grande anticipo dal governo di Belgrado, dal suo dittatore, il “maresciallo” Tito, dal suo ministro degli Esteri, Kardelj, e da un altro ministro ed amico personale di Tito, Vasa Cubrilovic, autori di due veri e propri manuali che contenevano le istruzioni per compiere genocidi ai danni delle popolazioni “etnodiverse” presenti nella stato socialista jugoslavo.
L’invasione delle terre italiane, ed il successivo genocidio, furono favoriti dai comunisti italiani. La brigata partigiana “Osoppo”, costituita da partigiani “bianchi” cattolici e favorevoli alla difesa dei confini nazionali dall’invasione, fu sterminata col tradimento e l’inganno da partigiani comunisti. Togliatti ed il PCI si accordarono con Tito per la cessione di tutte le terre italiane sino al Tagliamento, obbedendo certamente ad ordini di Stalin ed aspirando ad estendere il più possibile i domini del “socialismo reale”. Gli anti-fascisti italiani non comunisti furono emarginati dal PCI, poi uccisi per primi dagli slavo-comunisti. Il PCI orchestrò poi una campagna stampa contro gli esuli, e difese in ogni modo in parlamento ed in campo internazionale gli interessi e le ambizioni territoriali del dittatore Tito.
Gli Italiani vittime delle Foibe furono di ogni idea politica, di ogni classe sociale, di ogni età: fascisti ed anti-fascisti, ricchi e poveri, religiosi ed atei, uomini e donne, vecchi, adulti, bambini. Gli Italiani, dopo aver subito gravissime sevizie (umiliazioni, percosse, stupri, evirazioni; alle donne incinte venivano squarciati i ventri e i feti erano infilzati come trofei su dei pali), venivano legati con del filo spinato gli uni agli altri, e messi in fila. Il capofila veniva poi posto all’imboccatura di una foiba quindi veniva fucilato oppure scaraventato nel vuoto, trascinando con sé gli altri a lui legati. Il rituale era completato frequentemente da un cane nero gettato ancor vivo nella foiba, in osservanza ad una superstizione del folklore balcanico, secondo cui esso avrebbe impedito alle vittime di “ritornare” per vendicarsi.
Un calcolo esatto e completo del numero delle vittime è impossibile, perché moltissimi corpi furono gettati in mare, o seppelliti in foibe rimaste ignote, o rimasti in Jugoslavia nei cimiteri dei gulag. Tuttavia, la cifra più probabile si attesta attorno ai 30.000. Tale somma la si può ottenere dal numero di abitanti italiani presenti nei territori invasi dagli slavo-comunisti e poi scomparsi senza lasciare tracce. Inoltre, la stima del numero di vittime presenti nelle foibe accertate (almeno 67), sommata a quella degli italiani morti nei gulag di Tito, ed ai resoconti di altre uccisioni consente di giungere all’incirca alla stessa cifra, che deve quindi ritenersi quella più verosimile.
Gli esuli furono circa 350.000, e 50.000 gli Italiani che trascorsero molti anni nei campi di concentramento jugoslavi: Borovnica, Skofja Loka, Osseh, e ancora Stara Gradiska, Siska, e poi Goh Otok, l’Isola Calva. Alcuni vi rimasero sino agli anni Sessanta. Fra gli italiani rinchiusi nei gulag di Tito, alcuni erano dei superstiti dei lager tedeschi e, per loro testimonianza, i campi comunisti erano molto peggiori di quelli nazisti. Sui 5.000 Italiani deportati a Goli Otok, 4.000 morirono.
Dopo tutti questi eventi, per 50 anni calò un intenzionale silenzio su ciò che era accaduto. Gli esuli furono emarginati e dimenticati, così come la loro storia. Lo studioso Gianni Oliva nel suo libro “Foibe” ha scritto: «A sessant’anni dagli avvenimenti delle foibe e degli infoibati restano ancora una strage negata esclusa dalla coscienza collettiva della nazione […]. Con legge 92/2004 l’Italia ha riconosciuto ed ha istituito il 10 febbraio come il “Giorno del Ricordo” in memoria delle vittime delle foibe e degli esuli istriani, giuliani e dalmati. Lo scopo della legge è stato quello di ridare quella dignità e riconoscimento, mancato per lunghi anni, a chi fu tragicamente ucciso, ma anche a tutti i sopravvissuti che furono costretti ad abbandonare le loro case per fuggire dai massacri per mantenere la propria identità di essere italiano.”
Questa memoria continua ad essere purtroppo ancora oggi osteggiata da chi, del tutto assurdamente, nega o giustifica quello che è avvenuto. Pertanto, dinanzi a simili fatti, ed ai ricorrenti e sbagliati tentativi di nasconderli, è un imperativo morale la memoria delle Foibe e dell’Esodo.
IL suo ricordo dovrebbe appartenere al patrimonio collettivo della Nazione italiana, senza distinzione di partito o di idee politiche.
E' un atto di giustizia verso i morti ed i profughi, ma è anche un monito a tutti noi, perché quel che è accaduto in passato può avvenire ancora in futuro.

1 commento:

  1. « VN POPOLO DI POETI DI ARTISTI DI EROI
    DI SANTI DI PENSATORI DI SCIENZIATI
    DI NAVIGATORI DI TRASMIGRATORI »

    e di traditori di comunisti.
    saluti
    Marcello

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