domenica 16 agosto 2009

L’INESISTENTE “PULIZIA ETNICA” FASCISTA IN VENEZIA GIULIA
I dati quantitativi dei censimenti della popolazione della Venezia Giulia, nei periodi che vanno dal 1880 al 1910 e dal 1910 al 1921, attestano come non sia avvenuta nessuna “pulizia etnica” fascista.
Per l’intera durata del primo periodo, la regione in questione fu sottoposta all'amministrazione austroungarica, mentre al termine del secondo ad essa si era sostituita, da soli tre anni, l'amministrazione italiana.
E’ ben noto come il governo asburgico perseguisse il progetto di “germanizzare e slavizzare” la Venezia Giulia, come anche la Dalmazia e l’Alto Adige, secondo le precise direttive di Francesco Giuseppe nel suo consiglio della Corona del 1866, e ciò trova conferma nei dati demografici del periodo 1866-1918, che vedono da una parte espulsioni massicce di Italiani, dall’altra un’immigrazione slava favorita in ogni modo, il tutto accompagnato da una politica persecutoria contro gli Italiani stessi, da violenze, dal mutamento coatto di un gran numero di cognomi ecc.
Può essere importante quindi vedere se il confronto tra i dati statistici dei censimenti austriaci ed italiani attesti un’operazione analoga da parte del nuovo governo, attraverso una differenza tra la popolazione slovena censita nel 1910 e quella censita nel 1921. Le rilevazioni affermano come la popolazione slovena della Venezia Giulia, che nel 1910 era composta da 326.794 unità, nel 1921 fosse passata a 258.927,con una diminuzione di 67.867 unità pari al 26,6% del totale originario del 1910.
Tuttavia, si deve tener conto del fatto che, tra le due date di confronto, ci fu la Prima Guerra Mondiale con i suoi 8,5 milioni di soldati caduti, tra i quali ben 1,2 milioni dell'Esercito Austro-ungarico, a cui si aggiunsero, nel 1919, gli effetti della cosiddette "febbre spagnola". L’epidemia di “spagnola” inflisse alla sola Italia un numero di vittime superiore a quelle dell’intero conflitto mondiale, e condusse a scene che ricordavano la Milano appestata del Manzoni, con ronde di monatti incaricati di caricare i morti. Si giunse a proibire il suono a lutto delle campane, per evitare di dare alla popolazione un’idea delle dimensioni della mortalità. Questa pestilenza fece strage non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo. La gravità di questi due eventi per quanto concerne la Venezia Giulia è innegabile, se si tiene conto di come essa fu zona di guerra per quasi l’intero conflitto e che aveva patito in modo particolare delle conseguenze della spagnola, causa la debilitazione della popolazione. Lo stesso numero assoluto di Italiani ivi residenti, prescindendo quindi da quelli immigrati, era diminuito rispetto a quello del 1910.
Inoltre, è vero che avvennero degli spostamenti di popolazione nel periodo del 1918-1921 in Venezia Giulia, però essi furono volontari, e dovuti a ragioni economiche.
1] Il governo austriaco aveva immesso nella regione, nel suo progetto di “germanizzare e slavizzare […] con energia e senza riguardo alcuno” (verbale del consiglio della Corona austriaca del 1866), funzionari, amministratori, militari di etnia austriaca, ungherese, nonché slovena. Anzi, persino gli impiegati delle poste, del telegrafo, delle ferrovie ecc. erano scelti preferibilmente fra gli Sloveni, sia in rispondenza del progetto suddetto, sia perché tali funzioni erano ritenute di importanza militare. Al momento del passaggio di consegne dallo stato austro-ungarico a quello italiano tutte queste persone, ovviamente, persero il loro posto di lavoro: nessun stato al mondo avrebbe conservato funzionari, militari, impiegati statali di un altro stato, per di più stranieri, e nemmeno originari della Venezia Giulia, in quanto immigrati temporanei, sia per motivi di fedeltà (come era possibile mantenere militari, funzionari ed amministratori stranieri?), sia perché l’ammissione a determinati impieghi è soggetta a precisi requisiti ed a conoscenze diverse da paese a paese.
Come accade sempre ogni qualvolta un territorio passi da uno stato ad un altro, queste persone persero naturalmente i loro posti di lavoro, per cui in maggioranza decisero volontariamente di tornare nelle proprie terre d’origine. Chi però volle restare (qual è il caso di alcune famiglie della piccolissima nobiltà tedesca di Gorizia) lo potè fare. Si trattò di una semplice, abituale ed inevitabile misura amministrativa, comune a tutti gli stati (la Jugoslavia, ad esempio, fece lo stesso sul suo territorio), e non di una “pulizia etnica”, anche perché chi volle fu lasciato libero di rimanere in Venezia Giulia. (Sono molto utili al riguardo le considerazioni di H. Angermeier, “Königtum und Staat im deutschen Reich”, München 1954). Banalmente, come l’Austria si era servita di suoi funzionari, amministratori, impiegati statali, militari in Venezia Giulia, così fece l’Italia.
2] L’unica vera emigrazione per motivi politici, e non economici, dalla Venezia Giulia alla Jugoslavia fu invece quella di poche migliaia (meno di 3000) di nazionalisti Slavi, i quali, anche qui di loro spontanea volontà, si trasferirono subito dopo la guerra nel neonato regno jugoslavo, divenendo al di là della frontiera degli agitatori, propagandisti e terroristi del proprio nazionalismo in territorio italiano. Anche in questo caso non si deve parlare di “pulizia etnica”, perché questo spostamento fu volontario, e coinvolse oltretutto un numero di poche migliaia di persone (J. A. Brundage, “The genesis of the wars: Mussolini and Pavelic”, London 1987)
3] Ancora, bisogna segnalare come anche durante il Ventennio fascista si sia avuta un’immigrazione di Sloveni dalla Slovenia alla Venezia Giulia: il J. L. Gardelles, studioso francese, calcola che almeno 20.000-25.000 Sloveni immigrarono in Venezia Giulia ed ivi presero stanzialmente residenza durante gli anni ’20 e ’30. (“Histria et Dalmatia. Peuplements: essai de synthèse”, “Journal of modern history”, VI (1980), pp. 143-214). Un simile fenomeno, accettato dal regime fascista, è incompatibile con l’idea di un progetto di “pulizia etnica”. Infatti, il censimento italiano del 1936 documentava come, pur rimanendo una netta maggioranza italiana, la percentuale di popolazione slava nella regione era cresciuta rispetto al censimento del 1921.
I diagrammi ed i dati dei censimenti dimostrano chiaramente ed inequivocabilmente la rappresentazione di come non ci sia stato alcun esodo da parte degli sloveni alla fine della Prima Guerra Mondiale. Rispetto al censimento del 1910, la percentuale di Slavi sul totale della popolazione della Venezia giulia si ridusse di 6,5 punti percentuali, per le cause sopra suddette.
Tuttavia, rispetto al censimento del 1921, la popolazione di Slavi in Venezia Giulia era cresciuta di oltre 4 punti percentuali, per lo più in seguito ad un movemento migratorio dalla Slovenia all’Italia, il che dimostra l'inesistenza di una cacciata di massa degli Slavi, essendo anzi in crescita rispetto alla popolazione italiana.
Si deve invece rilevare l’ampiezza della brutale pulizia etnica esercitata dagli sloveni sulla popolazione italiana in lstria, dove la percentuale degli abitanti italiani sul totale della popolazione si ridusse di 80 punti percentuali.

P.S. In quanto all’accusa di aver italianizzato i cognomi, questo è solo parzialmente vero. In realtà, nel periodo 1866-1918 era stato il regime asburgico a slavizzare i cognomi italiani, con l’appoggio del clero slavo. Le norme italiane erano teoricamente rivolte a ripristinare la forma originaria e corretta dei cognomi italiani così slavizzati.
Inoltre, si ebbero altri cambiamenti del cognomen da slavo ad italiano, in alcuni casi imposti, in altri volontari e su richiesta degli interessati. L’Apollonio ricorda come la maggioranza di coloro che ebbero tale mutamento nella grafia del cognome nel secondo dopo-guerra, pur potendo ripristinare la forma slava, scelsero di mantenere quella italiana. Al contrario, i cambiamenti introdotti con l’imposizione dal governo asburgico nell’onomastica non incontrarono adesione alcuna.
E’ pertanto possibile dire che in alcuni casi avvennero sì italianizzazioni di cognomi slavi contro la volontà dei titolari, ma che furono casi complessivamente limitati, in quanto di norma si trattò di ripristino dell’originaria forma italiana del cognome stesso (slavizzato dall’amministrazione austriaca) oppure di un mutamento volontario.

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